Tagli, armamenti e via della pace GITA ASSISI-CASCIA giugno 2012
lug 14

00000549.jpgwww.corriere.it del 14 luglio 2012 | 9:50


Che cosa fare con i Btp?

Dopo il declassamento come orientarsi tra scadenze e rendimenti

La bocciatura di Moody’s, che ha consegnato all’Italia una pagella peggiore di quella assegnataci da S&P qualche mese fa, non ha avuto grandi effetti sui rendimenti dei nostri titoli di Stato. E’ passato esattamente un anno dall’inizio del processo che ha portato la crisi del debito europeo al centro del dibattito internazionale e delle preoccupazioni delle famiglie italiane, che si misurano con difficoltà sempre maggiori sul fronte dell’economia reale e su quello della gestione dei risparmi, spesso messi a repentaglio dagli effetti collaterali della crisi.

Vale la pena investire ancora nel nostro debito pubblico? C’è chi pensa che riallocare in casa l’enorme stock dei nostri Btp sia una delle strade da percorrere per uscire dal guado. C’è invece chi pensa che non serva a nulla. La realtà dice che, rispetto a qualche anno fa, le famiglie italiane hanno diminuito di molto l’impegno nei confronti dei titoli di Stato nazionali. E’ impensabile tornare all’epoca dei Bot people, quando investire sul debito casalingo era l’unica (o quasi) forma di risparmio. L’apertura ai mercati internazionali è indispensabile, anche per i piccoli patrimoni. Fatte queste premesse è anche vero che il rapporto tra rischio e rendimento dei Btp - soprattutto di quelli con scadenze comprese tra 3 e 5 anni - è interessante. L’alto rendimento - purtroppo - ce l’abbiamo in casa. Ecco qualche idea per valutare la mappa del Tesoro, che in questo momento è composta da una settantina di Btp.

Cedole fino al 4%
Quando conviene comprare titoli di Stato sotto «quota cento»

La prima squadra è quella delle cedole basse a cui fanno da contrappeso prezzi (relativamente) bassi. Sono una trentina i Btp con una remunerazione cedolare inferiore al 4% lordo, una soglia emblematica perché è di poco superiore al tasso di inflazione (3,3%). Per cominciare a guadagnare, si sa, bisogna investire in qualche cosa che almeno copra l’inesorabile avanzare del costo della vita. Non a caso la pattuglia dei Btp con cedola mini-se così la vogliamo chiamare- è per la metà formata da titoli collegati all’inflazione. Per la precisione 12 sui 27 censiti sono inflation linked. Due sono Btp Italia, le nuove emissioni del Tesoro agganciate al costo della vita italiano, mentre le altre dieci sono collegate al costo della vita europeo, che è inferiore di qualche misura a quello tricolore (2,4%). Prendiamo per esempio il Btp che scade il 15 settembre 2014: ha una cedola del 2,15%, quota 97,4 e ha un rendimento a scadenza reale (cioè non considerando il tasso attuale d’inflazione) del 3,43% lordo. Se consideriamo invece il meccanismo che collega il titolo al costo della vita europeo, ipotizzando che l’inflazione resti dove sta ora, il rendimento lordo annuo a scadenza di questo titolo sale al 5,84%. Rendimenti reali interessanti anche per i Btp Italia, il primo scade nel marzo del 2016, il secondo, collocato all’inizio del giugno scorso, arriva invece fino all’estate del 2016. Tutti e due offrono un premio a scadenza (sempre lordo) superiore al 3%. Se ci si sposta verso traguardi molto più lontani nel tempo con i Btp agganciati all’inflazione che «muoiono» nel 2026 o addirittura nel 2041 troviamo prezzi che oscillano tra 78 e 62, cedole che ballano tra il 2,5 e il 3,1, e rendimenti a scadenza (sempre senza considerare l’inflazione) di poco superiori al 5%. Un investimento così lungo, però, richiede una propensione al rischio elevata e, se si è cassettisti, la ragionevole certezza di non avere bisogno del denaro per i prossimi trent’anni. La scelta del titolo agganciato al costo della vita, anche se può sembrare paradossale in un momento recessivo, è sempre azzeccata almeno per una piccola parte del portafoglio perché - spiegano molti esperti - le enormi masse di liquidità messe sul mercato dalle Banche centrali prima o poi riemergeranno da qualche parte. E quindi «vaccinare» i propri investimenti non è mai sbagliato. In questi tempi di grande incertezza le scadenze brevi sono più consigliabili e, se la cedola è bassa (2%) e magari è appena stata pagata (come accade per esempio per il Btp primo giugno 2013) è possibile investire pagando i titoli meno del valore nominale, anche se la fine del loro ciclo di vita è molto vicina. Alle quotazioni di ieri questa opportunità era offerta, per esempio, anche dal Btp primo aprile 2014 e da quello primo giugno 2014. «La cedola mini è quindi adatta, in linea generale, a chi ama investire sotto il valore nominale per portare a casa un guadagno in conto capitale», spiega Angelo Drusiani, gestore obbligazionario di Banca Albertini Syz. Una strategia che vale sempre, ma che le attuali condizioni di mercato, molto depressive per i prezzi dei Btp soprattutto nei momenti di maggiore tensione, hanno reso più facile da mettere in campo.

Cedole oltre il 4%
L’emissione del 2014 con il super tasso del 6% La strategia per la rendita a squadra dei titoli con la cedola sopra il 4% lordo-la più numerosa perché rappresenta il 60% circa delle 66 emissioni complessivamente schierate dal Tesoro italiano - è quella che miete tifosi tra gli investitori che sono disposti a pagare un prezzo elevato per portare a casa un flusso cedolare molto consistente durante la vita dell’investimento. Una strategia che va ponderata con attenzione perché - va detto - se non si reinvestono le cedole, si arriva alla fine del viaggio con un capitale che quasi certamente sarà dimagrito rispetto alle dimensioni iniziali per il logorio imposto dall’inflazione. Una cedola ricca comporta un prezzo di mercato più elevato per tenere in equilibrio i rendimenti e i prezzi. Facciamo un esempio con due Btp quasi gemelli: il primo scade nel giugno 2013, rende a scadenza il 2,6% lordo, ha una cedola «magra» del 2% e quota 99,4. L’altro scade nell’agosto 2013, rende qualcosina in più (2,8% lordo), ha la cedola big pari al 4,25% e il suo prezzo è 101,4. Una remunerazione cedolare robusta comporta quindi un aumento di prezzo, che sulle scadenze brevi si vede poco - perché comunque i Btp che stanno per arrivare in porto ballano poco sotto o poco sopra il valore nominale-mentre se si prendono scadenze piuttosto lunghe la differenza può diventare notevole. La tempesta dello spread ha poi creato situazioni particolari, che spiccano nell’elenco delle possibilità ad alta cedola con quotazione in scala. Rimanendo sulle scadenze brevi - che sono quelle più gettonate nell’attuale burrasca- troviamo il Btp che scade nel novembre 2014 e che ha cominciato la sua avventura il 22 novembre 2011, vale a dire nei giorni più neri della crisi del debito. Questo titolo ha una cedola del 6% e una quotazione pari a 103,8, con rendimento a scadenza lordo del 4,2%. Le super cedole, in tempi normali sono il biglietto da visita dei titoli con vita molto lunga, mentre in tempi di guerra - come quelli che stiamo vivendo- possono essere il risultato di una forte sottovalutazione e quindi di emissioni a prezzi inferiori a cento. In questi casi chi compra e tiene fino a scadenza fa un affare, ma deve tenere conto che pagherà le tasse- che per i Btp e tutti i titoli di Stato sono rimaste al 12,5%, non sono salite al 20% come per fondi, azioni e corporate bond- non solo sul flusso cedolare ma anche sul guadagno in conto capitale realizzato durante la marcia di avvicinamento del titolo al 100. Più in generale la vetrina del Tesoro italiano, alla vigilia dell’estate, contiene un ventaglio di rendimenti a scadenza che va dal 2% netto (minimo, al netto di tasse e spese) dei Bot annuali fino al 5,8-6% lordo delle emissioni che durano dieci anni e oltre. La buona notizia è che, come hanno dimostrato anche le ultime aste di queste settimane, i tempi della curva piatta - quelli in cui anche sulle scadenze a breve il mercato pretendeva un premio del 6%-sembrano lontani dai possibili pericoli estivi. Resta però molto impegnativo l’esborso per i Btp più lunghi, soprattutto i decennali, quelli più utilizzati dai grandi investitori per speculare in positivo e in negativo sul destino dell’euro e del nostro Paese. La differenza di rendimento con i bund tedeschi, quella che ci inchioda alle nostre debolezze, oscilla tra i 450 e i 480 punti. Sempre troppi.

Giuditta Marvelli

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