Dalla Consulta un nuovo «no» all’eutanasia. Il ruolo del Servizio sanitario
Marco Iasevoli - da www.avvenire.it - venerdì 25 luglio 2025
La sentenza della Consulta sul caso della signora Libera: inammissibile che un terzo somministri il farmaco letale. Ma è «un diritto essere accompagnati nel suicidio assistito dal Ssn»
Nuovo «no» della Corte costituzionale all’eutanasia. Al contempo, la Consulta rimarca il ruolo del Servizio sanitario nel ricorso al suicidio assistito, tema dibattuto nella legge sul fine vita in discussione al Senato.
Il comunicato della Corte
«Con la sentenza numero 132, depositata oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del Codice penale sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione», è scritto nel comunicato pubblicato dal “giudice delle leggi”. L’articolo 579 del Codice penale riguarda l’omicidio del consenziente, da non confondere con l’articolo 580, inerente l’aiuto al suicidio, su cui la Consulta è già intervenuto mettendo dei paletti serrati che ne giustificano in specifiche circostanze la non punibilità. In sostanza, rigettando la questione di legittimità costituzionale, la Consulta non apre a una facilitazione di decisioni eutanasiche da parte di persone gravemente malate.
«Il giudizio - ricorda la Consulta - è stato instaurato da una persona affetta da sclerosi multipla», la signora “Libera”, nome di fantasia da lei stessa scelto, 55enne toscana, la quale, continua la Corte, «trovandosi nelle condizioni indicate dalla sentenza numero 242 del 2019 per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, come verificate dall’azienda sanitaria territorialmente competente, versa tuttavia nell’impossibilità di procedere all’autosomministrazione del farmaco letale, in quanto priva dell’uso degli arti, a causa della progressione della malattia, e non essendo reperibile sul mercato la strumentazione necessaria all’attuazione autonoma del suicidio assistito, cioè una pompa infusionale attivabile con comando vocale ovvero tramite la bocca o gli occhi, uniche modalità consentite dallo stato attuale di progressione della malattia».
La situazione della signora Libera, dunque, è quella di chi si trova nelle quattro condizioni indicate dalla sentenza 242 del 2019 della Consulta per depenalizzare l’articolo 579 sul suicidio assistito (irreversibilità della malattia, gravi sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, dipendenza da sostegni vitali, chiara capacità di decidere in autonomia), tuttavia il giudice chiamato a pronunciarsi si è chiesto se non fosse incostituzionale impedire a una terza persona, con l’articolo 580 del Codice penale, somministrare il farmaco letale. «Il Tribunale di Firenze - ricostruisce la Corte costituzionale - ha censurato l’articolo 579 del Codice penale, che punisce il reato di omicidio del consenziente, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, sussistenti le condizioni di accesso al suicidio medicalmente assistito, attui materialmente la volontà del malato il quale, per impossibilità fisica e per assenza di strumentazione idonea, non possa procedervi in autonomia». Secondo il Tribunale, è scritto ancora nel comunicato della Consulta, «la punibilità della condotta del terzo impedirebbe al malato di attuare la propria scelta di fine vita per il dato meramente accidentale dell’incidenza della patologia sull’uso degli arti, venendosi in tal modo a determinare un’irragionevole disparità di trattamento rispetto ai pazienti che tale uso abbiano conservato e producendosi altresì una lesione del diritto del malato all’autodeterminazione».
La Corte costituzionale però ha ritenuto inammissibile la questione perché «il giudice non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti». Per la Consulta, il giudice si è fermato «all’interlocuzione intercorsa con l’azienda sanitaria locale», e si è limitato «a una presa d’atto delle semplici ricerche di mercato di una struttura operativa del Servizio sanitario regionale, mentre avrebbe dovuto coinvolgere organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale». Per la Consulta, «ove tali dispositivi potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati allo stato di sofferenza della paziente, questa avrebbe diritto ad avvalersene».
In riferimento al ruolo del Servizio sanitario, la Corte afferma che la signora Libera «ha una situazione soggettiva tutelata, quale consequenziale proiezione della sua libertà di autodeterminazione, e segnatamente ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego. A tanto il Servizio sanitario nazionale è tenuto - sottolinea la Corte nella sentenza - nell’esplicazione di un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili».
Il dibattito sulla legge
Il comunicato della Corte costituzionale non fa riferimenti alla legge ora in discussione al Senato. In precedenti pronunciamenti sul fine vita, la Consulta aveva spronato il Parlamento ad agire, avendo come riferimento la sentenza 242 del 2019 e i successivi pronunciamenti. La sentenza sul caso della signora Libera sembra chiarire ancora di più che i tribunali non possono forzare l’ordinamento in direzione eutanasica, allo stesso tempo ribadisce il «diritto» della persona che si trova nelle condizioni di poter accedere al suicidio assistito a essere «accompagnata» dal Servizio sanitario. Al momento il testo-base in discussione prevede l’esclusione della Sanità dai percorsi di fine vita tramite suicidio assistito, e questo è oggetto di un confronto anche aspro tra maggioranza e opposizione.
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