Autistici e dimenticati. «Ora si volti pagina» Renzo Arbore: il mio incontro con Padre Pio
apr 02

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Domenica al Millenario le premiazioni del concorso

“Monsignor Boveri - Monsignor Colombi”

Mcl Voghera, studenti e associazioni premiati su etica e legalità

VOGHERA - Una sala del Millenario affollata da genitori, professori e ragazzi ha fatto da cornice domenica pomeriggio alla consegna dei premi della seconda edizione del concorso biennale dell’Mcl Voghera, dedicato alla memoria di monsignor Boveri e monsignor Colombi, intitolato “Etica, morale, legalità e rispetto”. I ragazzi delle scuole vogheresi si sono sfidati, nei mesi scorsi, con temi e racconti su valori che interrogano tutti, compresi tanti adulti a volte ignari di lanciare messaggi sbagliati. Il circolo Giovanni Ventitreesimo del Movimento Cristiano Lavoratori, presieduto da Vittorio Frassone, ha voluto portare le giovani generazioni a riflettere non solo sulla religione ma soprattutto su come costruire un mondo migliore, lavorando ciascuno sulla propria quotidianità. L’Mcl ha dato anche ai primi tre classificati, assegnatari di borse di studio, la possibilità di far vincere con loro altrettante associazioni di volontariato del territorio, con una donazione di 500 euro ciascuna. Al termine delle selezioni sono risultati vincitori: Eleonora Giorgi alunna del Gallini che si è aggiudicata il primo premio di 400 euro (associazione abbinata la Lega Italiana Lotta Contro i Tumori di Voghera); Simone Ghia Rovatti alunno del liceo Galilei che si è aggiudicato il secondo premio di 300 euro (associazione abbinata Avis Voghera); Paola Perotti alunna dell’istituto Blaise Pascal che si è aggiudicata il terzo premio di 200 euro (associazione abbinata “Montessori” di Voghera). Medaglie a ricordo della partecipazione sono invece andate a: Sara Quaroni, Andrea Giacobone, Gabriella Torti, Veronica Pellegrino, Alice Boschini, Chiara Carnevale e Giordana Cristiani. Dal tavolo dei relatori il professor Rinaldo Bertolini, portavoce della giuria, ha spiegato: “E’ stato difficile e allo stesso tempo appassionante leggere le riflessioni dei ragazzi su temi tanto centrali nel dibattito sociale di questi anni. Il lavoro della giuria per la selezione dei vincitori non è stato facile, crediamo che alla fine la partecipazione abbia dato merito agli sforzi dell’Mcl e ci auguriamo che tra due anni ancor più scuole e ancor più ragazzi scelgano di partecipare alla terza edizione”. Monsignor Gianni Captini, parroco del Duomo, ha elogiato gli sforzi dei giovani concorrenti: “L’aver risposto così numerosi allo stimolante invito dell’Mcl - ha detto - conferma che tra i nostri ragazzi c’è la voglia d’impegnarsi in questa società, nonostante i problemi, per arrivare a un domani migliore. Fa piacere che tanti giovani osservino la realtà con senso critico ma senza farsi sopraffare dal pessimismo. Monsignor Boveri e monsignor Colombi saranno certamente felici di esser stati ricordati attraverso un concorso che ha invitato a riflettere su fede e valori”. Il direttore del Giornale di Voghera, Antonio Airò, nel suo intervento ha invece rimarcato il valore dell’esempio: “I ragazzi che hanno partecipato al concorso dell’Mcl ricordano a noi adulti che dobbiamo dimostrare in concreto e non solo a parole cosa siano etica, morale, legalità e rispetto. I giovani ci guardano”. Nel corso del pomeriggio alla sala del Millenario, si è parlato d’impegno per gli altri e di un mondo del volontariato cittadino a caccia di nuove leve.

Voghera, 1 aprile 2012

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1° Classificato - Eleonora Giorgi - ITAS GALLINI

Due esistenze

Era una giornata di primavera inoltrata, una di quelle dalla rara bellezza in cui il sole splende con una pallida forza e i colori e gli odori delle cose assumono un’allegra sfumatura che di riflesso si leggeva anche sui volti dei passanti. Il caldo si faceva sentire in maniera insistente, assorbito dal colore scuro dei miei abiti. Nemmeno un filo di vento, fui costretta a levarmi la giacca con un certo sollievo. Ben ritrovata temperatura calda! Potevo ricominciare a mettere in mostra le mie braccia e, perché no, anche un po’ del mio seno con una discreta scollatura “a V”, per scoprire le gambe avrei dovuto aspettare ancora un po’, ma ormai l’estate non era troppo lontana. Non avevo voglia di tornare a casa con quella bella giornata, ero stata tutta la mattina in un ufficio ed ora mi meritavo la mia “pausa di riflessione”, potevo sedermi su una panchina nel verde del piccolo parco vicino al castello, assorbire un po’ di quel sole e osservare la gente che passava in strada, cercare di captarne la vita, i dubbi, gli amori, l’età, la professione, gli hobby… E così feci. Mi sedetti sulla panchina più prossima al viale alberato, appoggiai la borsa e la giacca di fianco a me e mi rilassai stiracchiandomi un po’ le gambe e le braccia. Per primi passarono un bambino con la madre, o almeno credo fosse stata la madre. Il ragazzino mostrava un’età di circa undici anni, un viso pieno e sorridente, un sorriso di quelli che arrivano fino al cuore, puro, felice. La madre era una donna piuttosto piccola, riccia, dal volto stanco e tirato che si stendeva solo ogni volta che girava lo sguardo verso il figlio. Dopo di loro passò un uomo poco più vecchio di me, trent’anni forse, il tipico “maniaco”, sguardo accattivante e fiero, che non scordò di far passare su ogni centimetro di pelle che avevo scoperto. Poi una coppia di anziani, lei sbraitava contro il marito, che la guardava confuso; probabilmente era sordo e non stava comprendendo proprio nulla di quello che la donna gli stava rimproverando, mi scappò un sorriso nel guardarli, erano bellissimi, sciupati dagli anni, ma ancora qui, insieme, a vivere. Una donna con il cane, tre ragazzine ridenti, un ragazzo dall’aria triste immerso nei suoi pensieri e nell’ascolto della sua musica, una giovane coppia, un gruppo di studenti… Poi qualcosa distolse la mia attenzione dallo studio degli abiti un po’ trasandati di uno degli studenti: una donna, così potevo intuire dagli occhi, l’unica cosa che si poteva vedere, l’unica cosa scoperta da quel burqua azzurro che stava indossando. Non potei fare a meno di rimanerne stupefatta. Come aveva potuto la nostra civiltà svilupparsi tanto da creare donne forti e indipendenti ed essere accostata in contemporanea da un’altra civiltà ancora, per modo di dire, arretrata, dove la donna era usata come un’”incubatrice” per i figli e nella società valeva meno di zero, meno di nulla. Quegli occhi sfiorarono i miei per un istante solo, bellissimi. Sotto quella palandrana doveva esserci una donna dalla rara bellezza, sposata all’uomo sbagliato, nata nel Paese sbagliato e costretta a professare una fede ingiusta. Come il maschilismo aveva potuto portare a quello? Tutto coperto tranne quei bellissimi occhi neri, due pozzi profondi di un’esistenza vissuta all’ombra.

Ore 16.00 di un altro assolato pomeriggio di primavera. Quella mattina mi ero svegliata di buon umore, avevo preparato la colazione per i bambini e per mio marito, li avevo visti sorridere a tavola e questo mi era bastato per iniziare ad affrontare la giornata con allegria. Per il resto della mattinata, mentre Halima, Khalida e Danyal erano a scuola e Hassan alla fabbrica, avevo pulito tutta la casa, lavato i panni, stirato e guardato un po’ di televisione italiana, dovevo abituarmi a parlare quella lingua, sì perché, mentre i miei figli e mio marito avevano subito assorbito le conoscenze di questo Stato, io mi ostinavo a restare legata alle mie tradizioni e alla mia lingua. Molti avrebbero detto che mi ostinassi a rimanere nell’ignoranza, ma non era così. Certo, nel mio Paese non avevo ricevuto un’educazione all’occidentale, ma non ero stupida, semplicemente non volevo cancellare la mia identità nazionale. Poi verso l’ora di pranzo i bambini rientrarono a casa, ma intuii immediatamente che qualcosa non andava. Khalida, solitamente la più allegra del “gruppetto”, aveva il volto scuro, un’espressione mista tra rabbia, vergogna e dolore. Cosa poteva esserle successo per averle spento quel suo bellissimo sorriso? Non osai chiederle nulla, la conoscevo troppo bene, se avessi chiesto non avrei mai saputo cosa le frullava in quella testolina riccia. Così feci finta di nulla, chiesi ad Halima e a Danyal di apparecchiare la tavola e misi tutta la mia concentrazione nella preparazione del pranzo. Non passò nemmeno un minuto che Khalida iniziò a piangere. Avrei voluto piangere anche io al solo udire quel suono, non c’è niente di peggio per un genitore che vedere la propria figlia in lacrime. Allora mi voltai verso lei, fingendo di accorgermi solo in quel momento della sua tristezza, m’inginocchiai per stringerla e le chiesi cosa non andava, accarezzandole la testa con una mano e asciugandole le lacrime con l’altra. Parlò, mi raccontò che dei suoi compagni l’avevano presa in giro perché “la sua mamma si vestiva con una tenda” e perchè “se avesse fatto qualcosa di sbagliato il padre l’avrebbe lapidata”. Non potevo credere alle mie orecchie. La rabbia iniziò a montare come una furia nelle mie vene, avrei spaccato tutto, se avessi potuto, ma non lo feci, restai calma e mentre consolavo la mia bambina finivo di preparare da mangiare per tutti. Mangiammo, ridemmo e guardammo un po’ di televisione, ancora in italiano, quella stupida lingua di quegli ignoranti che non sapevano nulla di me, della mia famiglia, dell’Islam e del perché eravamo venuti in Italia, sfuggendo al nostro Paese senza non poche difficoltà. Alle tre del pomeriggio, mentre i bambini facevano i compiti, andai in bagno e con profonda cura iniziai a prepararmi, indossai la mia “tenda azzurra” e mi diressi alla porta di casa, salutai i miei figli, potevo stare tranquilla, Hassan stava tornando. Dovevo parlare con la maestra di Khalida, un simile comportamento da parte dei suoi alunni era impensabile. All’esterno non soffiava nemmeno un filo di vento e il sole batteva con prepotenza nonostante non fosse ancora estate. Sotto il burqua avevo caldo, ma a me andava comunque d’indossarlo, nonostante rinnegassi lo schifo da cui eravamo fuggiti. Mia madre l’aveva indossato e sua madre prima di lei, era giusto lo facessi anche io, sentivo di doverlo fare, ma le mie figlie avevano libertà di scelta, come avevo creduto avremmo potuto avere tutti noi in Italia, ma l’ignoranza è peggio della peste ed evidentemente era arrivata fino a qui. Passai sotto al viale alberato di fianco al castello e una donna bionda con braccia e seno in bella vista mi stava fissando, la guardai per un solo istante, nei suoi occhi verdi avevo letto commiserazione, pena… Dannazione non era questo ciò che volevo! Cosa vedeva di così penoso in una cultura differente? Cosa poteva saperne una donna, vittima del maschilismo che la faceva svestire, succube di quegli uomini da cui lei stessa credeva di essere indipendente, della miseria e dell’ignoranza da cui ero sfuggita? Ero sotto quel viale, quel pomeriggio, per far capire la stessa cosa alla maestra di Khalida, ma anche lei non avrebbe capito. Dov’era quell’apertura mentale che gli europei dicevano di avere? Rispetto, non chiedevo altro.

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2° classificato

Ghia Rovatti Simone - Liceo Galilei

Etica - Morale - Legalità - Rispetto

“Etica”, “Morale”, “Legalità”, “Rispetto”. Belle parole, relative ad altrettanto nobili concetti su cui in linea di principio sembriamo tutti d’accordo, salvo però trovarci a volte a confrontare punti di vista profondamente differenti riscontrando una grave confusione di fondo, una base anche inconsapevole di ignoranza e, purtroppo, tanta ipocrisia.

Per quanto sia triste ammetterlo, al giorno d’oggi é difficile dare una sostanza a tali idee astratte, troppo spesso percepite come sinonimi di “moralismo”, perché l’uomo medio, così come la donna, il ragazzo e la ragazza-tipo, travolti dal correre della società, hanno sempre meno tempo per pensare, ed avendo un po’ perso l’abitudine a farlo difficilmente riescono a penetrare la profondità di simili concetti. Dove questa situazione affondi le sue radici é importante capirlo, ma ancora più urgente è fare chiarezza su valori così importanti, arrivati fino a noi, sia attraverso il pensiero dei grandi filosofi che tramite la saggezza semplice e profonda delle generazioni precedenti, e poi perdutisi come nel nulla.

Per muovere i primi passi può essere d’aiuto un semplice vocabolario, ed é così che l’etica si scopre essere quella parte della filosofia relativa al problema del bene, e viene indicata come sinonimo di morale; la morale risulta a sua volta la dottrina filosofica o religiosa che definisce l’insieme delle norme regolanti la vita individuale e sociale; la legalità viene definita come la condizione di ciò che é conforme alle leggi ed il rispetto viene invece variamente dipinto come sentimento di deferenza verso chi riteniamo superiore a noi, sentimento che ci induce a riconoscere i diritti, la dignità di qualcuno o di qualcosa oppure osservanza scrupolosa di ordini e regole.

Andare però oltre la superficialità delle definizioni non é cosa semplice: “etica”, “morale”, “legalità” e “rispetto” richiedono di mettersi in gioco, fare i conti con la propria coscienza e scegliere se affrontarla o addurre giustificazioni, quei “ma…” che così spesso nascondono ai nostri stessi occhi ciò che critichiamo negli altri.

Già, perché non esistono regole per istituire un codice comportamentale che sia valido per tutti, ed e quindi relativamente semplice, ad esempio, accusare il prossimo ritenendosi però esclusi dal campo d’ applicabilità della morale in nome di cui si parla.

Come porsi dunque di fronte a concetti di così vasta portata? Una chiave di lettura potrebbe essere quella di prendere atto che essi accompagnano quella ricerca che l’uomo ha intrapreso sin dai tempi più remoti: la ricerca della verità, della bontà e della giustizia.

Riconoscendoli come elementi costitutivi della propria natura, non come limiti imposti o banali idee prive di concretezza, e cercando di scoprirne la positività (quel “puoi” ben diverso dal “non devi”), tali concetti diverrebbero infatti origine di un unico profondo sentimento, quello dell‘esigenza del rispetto di un codice etico. Questo perché l’uomo, pur attratto dal soddisfacimento immediato e fuggevole del piacere, avverte per sua natura il bisogno di vivere eticamente, e dimostrazione ne é l’analisi delle possibilità esistenziali portata avanti dal filosofo cristiano Kierkegaard, che mette in evidenza come la vita puramente estetica conduca solo alla disperazione, considerata anche e soprattutto nel senso etimologico del termine, ossia come perdita di speranza.

L’etica, intesa dunque come insieme di moralità e legalità, rispettivamente riguardanti le regole che orientano il nostro comportamento nella società ed i comportamenti tenuti in conformità alle specifiche regole del diritto, viene quindi ad assumere le sembianze di un insieme di norme riguardanti ogni dottrina intorno al comportamento umano, dettate tanto dalla ragione, quanto dal cuore e tenenti conto della pluralità interculturale dei valori.

Il termine etica, introdotto da Aristotele, il cui significato racchiude quello dei restanti tre, vuole infatti indicare tutto ciò che è “buono e giusto”, tanto per noi quanto per ciò che ci circonda e chi ci sta accanto, ed é cosi che quanto risulta essere “etico” é anche “rispettoso”, di sé come degli altri, del proprio come dell’altrui.

Ecco dunque che “etica”, “morale”, “legalità” e “rispetto” risultano indissolubilmente legati da un rapporto di implicazione reciproca e vanno a delinearsi come quelle forme educative difficilmente insegnabili, ma che si apprendono con l’esempio, la prassi, l’imitazione e l’identificazione: sono come l’amore e solo se le si ha “ricevute” nelle forme giuste si riesce a “darle” correttamente.

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3° classificato

PAOLA PEROTTI, allieva classe quinta “Dirigenti di Comunità”

- Istituto Pascal di Voghera

Il sole splendeva accecante già dalle prime ore del mattino sopra Palermo. Negli stretti vicoli il silenzio della notte si stava ormai trasformando in quell’insieme di voci, suoni, odori, che accompagnavano Salvatore lungo il tragitto che lo avrebbe portato a scuola. Come tutte le mattine Salvatore aveva aspettato che suo padre ritornasse a casa dopo la notte trascorsa in panetteria, il suo risveglio era accompagnato dal caldo aroma di caffè e il profumo di brioches appena sfornate inebriava l’aria della casa. Salvatore era contento di vivere in una città come Palermo anche se la gente parlava male e aveva soltanto pregiudizi, perché vista con gli occhi di un bambino tutto era più bello ed innocente… Quando era piccolo, Salvatore saltava sempre al collo del papà e così finiva con l’andare a scuola con il grembiule nero tutto infarinato, allora la mamma scoppiava a ridere così il papà abbracciava anche lei… Che nostalgia di quegli anni lontani! Da tanto tempo ormai non c’era più posto per le risate in quella casa. Salvatore aveva a lungo cercato delle risposte ma nessuno gli aveva spiegato cosa fosse successo. Ogni giorno suo padre ritornava a casa sempre più scuro in volto e negli occhi della mamma ora si vedeva un velo di tristezza. Anche quel giorno finite le lezioni, Salvatore le avrebbe dato una mano nella panetteria mentre il papà a casa voleva riposare. Ma quel giorno nella testa di Salvatore girava un pensiero dal quale non riusciva a liberarsi: la sera precedente due uomini vestiti elegantemente e mai visti prima avevano parlato a lungo con suo padre. Salvatore aveva cercato di capire di nascosto cosa si dicessero e di colpo tutto gli era stato chiaro: era bastato sentire quella parola “pizzo” e così purtroppo aveva capito tante cose. Nonostante avesse solo tredici anni decise che avrebbe aiutato suo padre, non era giusto quello che aveva dovuto subire in silenzio per anni, doveva convincerlo ad opporsi a quei criminali denunciandoli. Salvatore ricordava bene quando a scuola era venuto quel magistrato che aveva parlato loro di rispetto della legge e onestà, principi che sembravano dimenticati in una città come Palermo. Sapeva che la paura delle azioni di cui la gente era capace, aveva indotto suo padre ad accettare quel ricatto ma non poteva permettere che si andasse avanti così. Ma un ragazzino come lui cosa poteva fare di fronte a quei criminali? Decise che ne avrebbe parlato con Antonio, il suo migliore amico, suo padre aveva un negozietto di frutta, anche lui pagava il pizzo? Probabilmente sì. Aveva capito che i suoi genitori avevano cercato per anni di proteggerlo nascondendogli quello che succedeva e un po’ si sentiva deluso da loro. Nei giorni che seguirono Salvatore lesse nella biblioteca scolastica tutto ciò che riguardava la difesa dei diritti, legalità, lotta alla mafia e rispetto delle regole. Lui e Antonio avevano deciso di andare insieme da quel magistrato che era venuto nella loro scuola: il suo nome era Paolo Borsellino, gli avrebbero spiegato che loro non volevano credere a quella gente e che volevano cambiare le cose e con il suo aiuto avrebbero convinto tutti i loro amici e compagni di scuola a stare dalla parte della legalità perché è la sola che può garantire un futuro migliore.

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