Le Alpi senza ghiacciai. Quello sulla Marmolada entro il 2050 non ci sarà più
Nicoletta Martinelli - da www.avvenire.it - domenica 14 settembre 2025
Per Mauro Varotto, dell’Università di Padova, la montagna sarà priva di ghiaccio tra meno di 25 anni. Il trend secondo gli studiosi è inesorabile e non risparmierà nessuno
Che il ghiacciaio della Marmolada abbia perso altri sette metri in un anno non è una sorpresa per nessuno: solo una conferma, piuttosto, del suo continuo, graduale e inesorabile arretramento. Sette metri sembrano tanti? «C’è stato anche di peggio»: Mauro Varotto ha preso parte alla Campagna Glaciologica partecipata sulla Marmolada, promossa dal Museo di Geografia dell’Università di Padova, Arpav Centro valanghe di Arabba (in provincia di Belluno) e Comitato glaciologico italiano. «Dato che la superficie su cui poggia il ghiacciaio ha una morfologia irregolare, fatta a scalini, ci sono punti in cui il ghiaccio è più spesso, e quindi arretra più lentamente, altri dove è molto sottile. In quei punti può arretrare anche di venti o trenta metri. I sette metri sono il dato medio di tutti i segnali frontali. E non è affatto il peggiore considerando che ci sono stati anni più caldi in cui l’arretramento medio è stato intorno ai venti metri».
Il futuro è già scritto per i ghiacciai italiani, non solo per quello della Marmolada al quale, però, spetterà il triste primato di sparire in anticipo sugli altri: entro il 2050 sarà del tutto fuso. «Ne resteranno piccoli pezzi, porzioni protette sotto le creste che verranno progressivamente ricoperte di roccia. Resti che si conserveranno per qualche decennio - è la previsione di Varotto - ma non si potrà più parlare di ghiacciaio». Questo perché in assenza di dinamismo, di un flusso di movimento, di una zona di accumulo, il ghiacciaio è morto e neanche si chiama più così. Il trend è inesorabile e non risparmierà nessuno: anche l’Adamello, che si sta riducendo a una velocità impressionante, non arriverà a fine secolo. Stesso destino per tutti gli altri: «Le attuali condizioni climatiche non consento al ghiaccio di resistere alle nostre quote. Le forme glacializzate che vediamo sono un’eredità del passato, fossili glaciali. In questo momento non c’è alcun accumulo di ghiaccio. E questo - prosegue il professore - è il combinato disposto di due fattori. Le temperature troppo elevate in estate e gli apporti nevosi scarsi o tardivi. Questi ultimi sono inutili anche quando sono abbondanti, perché non c’è il tempo per la neve di compattarsi e di diventare ghiaccio, si fondono molto rapidamente con l’arrivo della primavera. Ma la responsabilità più grande è delle altissime temperature estive. Se lo zero termico è oltre i cinquemila metri, significa che i ghiacciai intorno ai tremila fondono continuamente, notte e giorno, per giorni e settimane». Qualsiasi apporto nevoso invernale non ha speranza di resistere e un ghiacciaio, per essere tale, deve avere un bilancio quantomeno in pareggio tra la quantità di neve che fonde in estate e quella che si accumula in inverno: in questo momento, l’accumulo è scarso, l’erosione più che abbondante.
Soluzioni non ce ne sono, la fusione non si fermerà. E la copertura delle montagne con teli geotessili che riflettono il sole, non può attutire il problema? «Affatto. Non serve a niente se non - Varotto è perentorio - a proteggere le piste da sci e gli interessi economici dell’industria sciistica». Ma la responsabilità del turismo sciistico è relativa: le cause sono molto lontane dal ghiacciaio, risiedono nella crescita della CO2 nell’atmosfera, nel peggioramento dell’effetto serra. «Resta il fatto - prosegue il ragionamento - che il turismo dello sci oggi sta investendo denaro per mantenere una pratica sportiva che è fonte continua di dissipazione economica». Anche perché gli impianti di innevamento artificiale, i cannoni, i teli protettivi sono spesso finanziati con fondi pubblici. Lo sci serve a sostenere l’economia invernale delle vallate alpine che non sarebbero in grado di sopravvivere senza gli introiti derivanti dall’attività sciistica. «Siamo di fronte a un caso di accanimento terapeutico, crediamo di poter tenere in vita un moribondo con una flebo. Prendiamo i cannoni sparaneve - propone il geografo - che funzionano solo con le temperature sotto lo zero. I giorni in cui quella condizione si realizza sono sempre meno. Questo significa che la neve deve essere sparata sulle piste in un tempo sempre più breve, con più cannoni e, quindi, con sempre più bacini di accumulo d’acqua a cui attingere. I costi crescono e si ripercuotono anche sul costo degli sky pass, abbattendo il numero degli sciatori che possono permettersi di pagarli e la frequentazione delle piste. È un modello insostenibile».
La Campagna glaciologica da cui è reduce Varotto è una campagna partecipata: significa che è aperta al pubblico, persone non esperte dell’argomento che, però, vogliono saperne di più: «Abbiamo voluto affiancare al nostro lavoro di misurazione e monitoraggio dei ghiacciai anche un’iniziativa di sensibilizzazione ed educazione. Per fare in modo - conclude Mauro Varotto - che ci sia un trasferimento di divulgazione delle pratiche di ricerca che mettiamo in campo. Non solo la comunicazione di un dato arido ma un’esperienza condivisa per riflettere sul modo di fruire la montagna e sulle conseguenze prodotte dai nostri comportamenti».
Stesso tenore - sconfortante - anche per il bilancio della Carovana dei ghiacciai 2025, la campagna di Legambiente in collaborazione con Cipra Italia e con la partnership scientifica della Fondazione glaciologica italiana: condotta dal 17 agosto al 2 settembre lungo l’arco alpino ha studiato lo stato di salute di alcuni ghiacciai. Otto gli osservati speciali, cinque in Italia: quello dell’Adamello, del Ventina, di Solda, della Bessanese e della Ciamarella. E poi, l’Aletsch e i ghiacciai della Zugspitze, in Germania, con lo Schneeferner e il Höllentalferner. I ghiacciai, spiegano i ricercatori, oltre ad arretrare, diventano sempre più neri, coperti da colate detritiche e caratterizzati ai lati anche dalla formazione di morene: succede, per esempio, sul ghiacciaio di Solda del gruppo Ortles-Cevedale. Anche questa campagna pone l’accento sulla fruizione turistica della montagna e sulla necessità di comportamenti più sostenibili. Abbandonare i rifiuti in quota è diventata una triste ma frequente abitudine: sul sentiero che porta al ghiacciaio del Ventina i volontari di Legambiente hanno raccolto tanta plastica, tappi, mozziconi, fazzoletti di carta e persino un catetere e dei calzini.
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