I santi rifioriranno sempre (e amano anche gli antipatici)
di Maurizio Patriciello
La santità è gioco. Giocare con Dio. Tentare di capire, di arrivare al fulcro, al centro, al cuore di questo Mistero che affascina e spaventa. Dio è amore
30 ottobre 2025 - da www.avvenire.it
Papa Leone XIV celebra la Messa nel giorno della canonizzazione di sette nuovi santi in Piazza San Pietro in Vaticano, lo scorso 19 ottobre 2025 / SICILIANI
Péguy: «E quando si dice che la Chiesa ha ricevuto promesse eterne, che si possono radunare in una promessa eterna, bisogna quindi rigorosamente intendere che non soccomberà mai sotto il suo invecchiamento, sotto il suo indurimento, sotto il suo irrigidimento, sotto la sua abitudine e sotto la sua memoria… e che i santi rifioriranno sempre». Anche oggi, anche domani, anche con l’avvento dell’Intelligenza artificiale e delle mille astruserie che ai vecchi ancorati alle loro abitudini, fanno paura. Santità non è sacrificio, penitenza, perfezione. O, almeno, non solo questo. Santità è relazione. Il frammento si rispecchia nel Tutto e dal Tutto si sente attratta e annichilita. La goccia cerca il torrente senza il quale sente di evaporare. La santità è gioco. Giocare con Dio. Tentare di capire, di arrivare al fulcro, al centro, al cuore di questo Mistero che affascina e spaventa. Dio è amore. Il santo ama. Chi? Tutti. Anche gli antipatici? Anche quelli. Ma gli altri sono cattivi. Vanno aiutati a esserlo di meno. Lui, il tuo Dio, li ama. E ti chiede di fare altrettanto. Ce la sussurriamo la verità in questa giornata dedicata a loro, ai santi? Giudicare è più facile che amare. Ti mette sul piedistallo e ti fa guardare dall’alto coloro che Dio ha voluto guardare negli occhi. Selezionare, incasellare, etichettare, litigare, condannare: tutto questo ci mette al riparo dalla fatica di dover amare. Attenzione ai paraventi. Chi ama ha vinto la paura - ogni paura - perché si fida. Il coraggio dei santi affonda qua le sue radici. Si fida. E ritorna bambino. Capace di meraviglia e di stupore, bisognoso si dialogo e carezze. Si guarda attorno e “vede”, finalmente “vede”. Vede il sole e le castagne; i crisantemi e i campanili; il piccolo appena nato e l’altro che viene gettato nella fogna. Vede l’acqua del fiume inquinato e quella del battesimo. “Vede” il Pane che diventa Dio e Dio che si fa pane da mangiare. Una magia? No, un gioco. Perché un padre ama giocare con i suoi bambini. E gli uomini, che fin troppo si prendono sul serio, devono imparare a giocare per diventare veramente uomini. E i peccati? Dove li mettiamo i peccati? Dove li ha relegati Iddio. Gli antichi monasteri vuoti non sono un fallimento, ma testimonianza di fede di fratelli e sorelle che hanno amato Dio e gli uomini in quel luogo, in quel tempo. State sereni, nulla è andato perduto. Ogni secolo ha avuto i suoi santi. Ma guai ad abituarsi troppo. Guai a trasformare i santi in “santini”. Faremmo un torto allo Spirito Santo che è perenne novità; a Dio che ci spiazza sempre.
Per dodici secoli la Chiesa e il mondo hanno fatto a meno di Francesco di Assisi. Fino a quando non arrivò questo giovane, originale, un po’ folle, un po’ strano, incompreso dai religiosi del tempo. S’innamorò. Di chi? Del lebbroso? Della foresta? Del canto degli uccelli? No, si innamorò di Cristo. Voleva lui, cercava lui, voleva giocare con lui, rimanere con lui. Un solo pensiero lo tormentava: offenderlo, pur senza volerlo. E ripercorse le antiche vie già tracciate dalla Chiesa e ne scoprì altre. Chi ama teme di fare del male alla persona amata, ed ecco l’assisano farsi severo con sé stesso e gli altri. Forse troppo. E se - il solo pensiero mi fa male - e se dicevo, per il futuro nessun giovane sentisse il fascino di indossare il saio? Per quindici secoli la Chiesa e il mondo non hanno saputo chi fosse Ignazio di Loyola e i gesuiti. E così via. Come sono diversi tra loro, i santi. Al punto che - poverini - qualche volta si sono guardati in cagnesco. La santità si declina in mille, diecimila, centomila modi. Perché ovunque volgi lo sguardo, Dio ti ammalia. Fino a oggi ne abbiamo appena sfiorati alcuni, il bello non è ancora arrivato. Non è facile rimanere sereni mentre il mondo cambia. Guardiamoci indietro. Ripercorriamo a ritroso la nostra storia. Che hanno in comune l’adolescente Carlo Acutis e il martire Ignazio di Antiochia? E i piccoli portoghesi, Francesco e Giacinta Marto, che ci fanno accanto a Tommaso d’Aquino e ad Agostino? Questa santità - perenne novità - mi attrae. Mi incanta la fantasia di Dio. Spalanco gli occhi: un bimbetto che sgambetta appena ha raccolto nel prato un minuscolo fiorellino giallo e lo ha regalato al suo papà milionario. Mi fermo, li scruto. Voglio imparare. Osservo la gioia del piccolo che ha donato tutto ciò che aveva di più bello, ma, soprattutto, quella del babbo che stringe al cuore il suo bambino, il bene più prezioso. I santi rifioriranno sempre. Anche oggi. Anche in mezzo a noi. E - perché no? - anche noi stessi possiamo fiorire in questo giardino dai mille fiori e mille profumi. Fiducia. Umiltà. Tanta, tanta, tanta umiltà. Amore. Oggi abbiamo una sola cosa da fare: amare. Cominciamo subito, senza preamboli, senza opporre resistenza, senza cercare appigli per sfuggire all’unico nostro dovere. Senza distinzioni, senza preclusioni. Noi non possiamo non amare coloro che Dio stesso ama. E se Dio ha tanta pazienza da rispettare i tempi dei “peccatori”, i loro ritardi, le loro giustificazioni, le loro bugie, le loro cadute, chiede a noi, peccatori perdonati, di imitarlo. “Ama e fa quello che vuoi”. Ho capito, Signore. Sono pronto. Mettiamoci in cammino. Soli Deo gloria.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti recenti