Perché nelle parole dei giovani Gesù è diventato invisibile
di Paola Bignardi
Da www.avvenire.it 23 ottobre 2025
Cristo è presente tra chi frequenta la Chiesa, ma per molti di coloro che si sono allontanati la formazione catechistica non ha aperto alla profondità dell’annuncio cristiano
Nelle testimonianze libere raccolte tra i giovani sulla loro esperienza spirituale raramente vi sono citazioni religiose; il loro mondo interiore è quasi interamente occupato da valori ed esperienze che non riguardano una fede. È un aspetto sempre più accentuato e sul cui significato si tornerà nell’ultimo contributo di questa serie. Accade che parlino di Gesù i giovani che hanno mantenuto una certa frequentazione della comunità cristiana. È il caso di Giulia, di cui riporto qui una riflessione che testimonia la sensibilità con cui i giovani pensano e vivono la loro relazione con il Signore. «Nella frenesia della vita quotidiana è facile perdere l’orientamento, sembra quasi non esserci tempo per prendersi cura della propria vita interiore. Proprio per questo, i momenti in cui riesco a dedicarmi alla riflessione e alla contemplazione assumono ancora più valore e importanza. Prendersi del tempo per concentrarsi sulla Parola è sempre rigenerante: rimango sorpresa dall’attualità del Vangelo. Mi stupisce come parole scritte millenni fa abbiano qualcosa da dire a me, ventiduenne del ventunesimo secolo. Sebbene la mia quotidianità sia assai diversa da quella di quegli uomini e donne coevi a Gesù, se guardo con attenzione a quelle pagine, riesco a rivedermi nei loro atteggiamenti, nei loro dubbi, nelle loro domande. Dall’iniziale stupore per questa sorprendente vicinanza, avviene un vero e proprio incontro con Gesù, presenza viva nella Parola. I suoi gesti e le sue parole ispirano le mie azioni e rassicurano i miei turbamenti. Di Gesù mi colpiscono la mitezza e umiltà di cuore, il suo stile: ogni parola non è mai casuale, ogni gesto è ponderato. Questo incontro con Gesù è davvero generativo: crea nuovi spunti di riflessione e nuove prospettive di azione».
Le parole di Giulia parlano di un’esperienza religiosa viva, molto coinvolgente e molto personale basata su una relazione calda e affascinante. Ai giovani come Giulia - sono molti di quelli che sono rimasti nelle comunità cristiane - interessa una fede così: capace di coinvolgere tutta la persona e non solo la ragione. Non interessa un Dio che sia una nozione da aggiungere alle proprie conoscenze, ma una persona con cui stare in relazione, e in una relazione così importante da influire su tutta la propria vita, «capace di ispirare le mie azioni e di rassicurare i miei turbamenti», dice Giulia. L’esperienza religiosa è quella di una fede capace di dare un senso a tutto e di costituire un orizzonte sul quale collocare gli interrogativi della vita. Ma chi è Gesù per i molti giovani che si sono allontanati dalla comunità cristiana, dopo aver frequentato la catechesi dell’iniziazione e raggiunto quella soglia che ha celebrato teoricamente la loro maturità cristiana? Nelle loro parole raramente c’è Gesù. Certo di lui hanno sentito parlare, perché hanno frequentato il percorso di preparazione ai sacramenti, eppure il Signore non è dentro il loro orizzonte - o forse non vi è mai stato veramente. Se questo è comprensibile per chi ha abbandonato non solo la Chiesa ma anche la fede, risulta meno comprensibile per quelli che, pur fuori dalla Chiesa, continuano a sentirsi credenti. Sanno parlare di Dio talvolta con accenti profondi e toccanti, ma mai fanno cenno a Gesù, come se il Signore non avesse nulla a che fare con il Dio in cui dicono di credere. Se interpellati in modo esplicito, riconoscono che Gesù è stato un grande uomo, che la sua è stata una testimonianza affascinante; ma è come se fosse fuori dall’orizzonte di Dio. Si tratta di un aspetto che avrà bisogno di qualche approfondimento. Al momento mi pare che si possa fare qualche ipotesi, che connette la questione di Gesù con il contesto di una sensibilità che tende a collocarsi al di fuori della prospettiva cristiana. Gesù è così strettamente legato alla Chiesa che viene rifiutato con essa. Ne hanno sentito parlare proprio nell’ambito di quel percorso che ora hanno rifiutato; quindi è rifiutato con tutto il resto. Qualcuno poi accusa la Chiesa di averne tradito il messaggio, come nel caso di questo giovane: «Gesù, secondo la storia, si spendeva tantissimo per gli altri, nel senso che ricercava il loro bene, metteva gli altri al primo posto rispetto a sé. Mi viene da pensare che è questo che la Chiesa ha perso negli anni». Chi è cresciuto nell’ambito della Chiesa e giudica incoerente il suo modo di vivere finisce con il coinvolgere anche Gesù nella propria presa di distanza. Pur con ragioni diverse, questa è anche la posizione di questa giovane: «La Chiesa ha messo bocca su argomenti che sono totalmente lontani da quello che era l’idea di Gesù Cristo. Credo che abbia voluto strafare in argomenti che non erano di competenza della Chiesa». Gesù cade nell’oblio, insieme alla Chiesa. Altri giovani hanno difficoltà a credere ad aspetti particolari: «Non credo che ci sia un cristiano che lo sia sul serio, perché, per essere veramente cristiano, cattolico, dovrei credere che Gesù sia morto e risorto dopo tre giorni. Ma com’è possibile? Non so quanti ci credono veramente. E senza questo atto di fede il cristianesimo rimane un guscio vuoto». C’è una mentalità concreta, legata alle ragioni del comune buon senso, che reputa incredibile ciò che la ragione non riesce a spiegarsi. Anche nel caso della testimonianza successiva, di una venticinquenne, ciò che fa problema è la divinità di Gesù: «Io penso che essere cristiani significhi essere di Cristo, e cercare di tendere a lui il più possibile, comprendere Cristo uomo e Cristo Dio ed innamorarsene. L’essere cristiano è sempre stata un’identità molto chiara per me, fin quando ho messo in dubbio la divinità di Cristo; ma l’essere cristiani non ha senso se metti in dubbio il Cristo Dio. Continuo ad essere innamorata di Gesù uomo, ma mettendo in dubbio il Dio, tutto ciò che è collegato al cattolicesimo, la fede, i sacramenti, la ritualità, tutto perde senso». In questo caso Gesù non scompare, ma viene meno il Gesù della fede; questo Gesù esce dalla prospettiva religiosa.
Si può immaginare che il Gesù della fede non sia mai entrato come protagonista vivo nell’orizzonte spirituale dei giovani di oggi. Vi è una formazione catechistica che, pur parlando di Gesù, non ha aperto ai ragazzi e ai giovani la profondità dell’annuncio cristiano. Lo si comprende se si chiede a molti giovani, soprattutto a quelli che si sono allontanati dalla Chiesa, che cosa significa essere cristiani. La maggior parte di loro risponde che significa «comportarsi bene e andare a Messa la domenica». Se questo è essere cristiani, che cosa c’entra Gesù con questo cristianesimo? L’opinione di molti giovani sul significato dell’essere cristiani mette in luce il carattere moralistico e rituale della formazione ricevuta. È una visione del cristianesimo senza anima, soprattutto senza annuncio. Oggi la maggior parte dei giovani, pur avendo fatto i percorsi formativi canonici, non ha ricevuto l’annuncio della salvezza che il Signore Gesù ha portato. Gesù è uno dei tanti personaggi con cui si sono incontrati nella catechesi, forse il più importante, ma senza che sia chiara la differenza tra Gesù e Pietro, e Giovanni Battista o Tommaso. Una giovane, parlando dei suoi ricordi di catechesi, dice: «C’era l’aspetto del racconto di parabole, c’era modo anche di parlarne, però le raccontavano come se fossero delle favole, con un aspetto immaginifico molto forte». Tocca un aspetto cruciale della formazione questa affermazione. Vi è un modo di parlare di Gesù che lo rende un personaggio poco diverso da quello delle favole ascoltate da bambini. E se, crescendo, Gesù è stato citato - o «usato» - per indurre a certi comportamenti, allora a maggior ragione è facile dimenticarsi di lui. E quand’anche le sue parole siano state usate per educare a vivere bene, anche in questo caso si sono private le persone dell’originale salvezza annunciata da Gesù. Non basta annunciare che Gesù ci ha insegnato a volerci bene se non si dice che ci ha rivelato che Dio ci vuole bene; e che è in virtù di questo amore che ci precede che noi possiamo volerci bene. Gesù ci ha detto che noi siamo importanti agli occhi di Dio, come lo sono i figli agli occhi di un padre. L’incontro vero con Gesù passa da questa strada.
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