Sanità
set 07

Gli Stati si stanno riarmando e noi non possiamo restare in silenzio

Raul Caruso sabato 6 settembre 2025 - da www.avvenire.it

Stucchevoli esibizioni di forza, annunci di investimenti nel settore bellico, armi nucleari: il pianeta pare scivolare inesorabilmente su una china pericolosa, senza più impegni di non-proliferazione

In queste ultime settimane stiamo assistendo a stucchevoli esibizioni di forza da parte dei leader mondiali in parate militari e nel contempo continuiamo a ricevere informazioni in merito alla corsa agli armamenti in cui i Paesi del mondo sono oramai tutti coinvolti. Ultima notizia in questo senso è stato l’annuncio del ministro della difesa giapponese di un budget per il 2026 di poco più di 60 miliardi di dollari dopo i numerosi annunci in merito al maggiore impegno militare dei paesi europei.

La corsa agli armamenti a livello globale è quindi un dato di fatto, e soprattutto si sta rafforzando in seno a una comunità internazionale in cui la capacità di cooperazione sembra precipitata ai minimi storici, e soprattutto in cui la minaccia - financo esibita - dell’uso della forza sembra essere ritornata come unico criterio delle relazioni tra stati. E infatti, le continue riaffermazioni della necessità di aumentare gli arsenali sono presentate dai governi senza la comprensione del fatto che dovrebbe esserci un pari - se non superiore - impegno per stimolare, suggerire e favorire nuovi accordi di controllo degli armamenti e di non-proliferazione.

L’impegno in questo senso, infatti, è stato uno degli elementi costitutivi dell’ordine liberale costruito dopo la Seconda Guerra mondiale. Durante la Guerra Fredda, infatti, e anche negli anni successivi la comunità internazionale e soprattutto le due maggiori potenze hanno sottoscritto una varietà di accordi per limitare la proliferazione di armamenti e diminuire il rischio di una terza guerra mondiale.

Vi era una comprensione condivisa della necessità di attivare meccanismi cooperativi pur all’interno di situazioni conflittuali e complesse. Tale comprensione condivisa sembra svanita e il dialogo per limitare la proliferazione degli armamenti di conseguenza interrotto. Emblematico è il caso del trattato ATT che pur essendo stato ratificato da 116 Paesi (inclusi tutti i paesi UE) non ha tra i Paesi aderenti Stati Uniti e Russia, ma anche attori rilevanti come India, Indonesia, Arabia Saudita, Qatar e Iran solo per citarne alcuni. Non meno importante è il caso della convenzione CCW (Certain Conventional Weapons), strumento del diritto internazionale umanitario, che ha lo scopo di vietare o limitare l’uso di specifici tipi di armi che sono considerati fonte di sofferenze gravi e ingiustificabili per i combattenti o per la popolazione civile. In questa fase i Paesi firmatari non riescono a trovare un accordo per rinnovare l’accordo e limitare l’uso delle armi autonome e dell’intelligenza artificiale negli scenari di guerra.

Ancora più preoccupante è il caso delle armi nucleari. Il 5 febbraio 2026 scadrà il trattato New Start tra Stati Uniti e Russia per la limitazione delle armi nucleari. Il New Start è l’ultimo accordo in vigore tra Stati Uniti e Russia anche se le ispezioni sono nei fatti sospese. L’accordo in essere, peraltro, è una proroga - voluta dal presidente Biden - del precedente accordo siglato nel 2010 dall’amministrazione Obama. Al momento le probabilità che si trovi un nuovo accordo appaiono molto lontane. In breve, lo scenario attuale è decisamente più preoccupante di quanto appaia a prima vista, poiché l’ingenua fiducia in un riarmo senza regole in una fase di avanzamenti tecnologici come quella attuale è foriera di ulteriore instabilità e non determina alcun effetto credibile di deterrenza, in virtù del fatto che il meccanismo alla base di questa non è la mera disponibilità di armi ma piuttosto la credibilità degli attori coinvolti. In una fase come quella attuale in cui la tradizionale coesione occidentale sembra in crisi profonda, sia gli Stati Uniti sia gli alleati europei presentano nei fatti un innegabile deficit di credibilità poiché è venuta meno l’unità di intenti che aveva dato forma al mondo all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.

Al contrario, un sistema in cui si accettano, almeno in linea di principio, meccanismi di controllo degli armamenti può essere un modello realistico di cooperazione tra rivali che punta alla costruzione di fiducia reciproca attraverso il dialogo costante al fine di evitare l’escalation di conflitti esistenti. Questo tipo di accordi, sono peraltro ancor più necessari in presenza di innovazioni tecnologiche come quelle attuali che apparentemente possono fornire agli stati presunti vantaggi in caso di conflitto aperto. Dato che le potenze mondiali sembrano aver rinunciato a un percorso di cooperazione di questo tipo, diviene responsabilità dei governi europei quella di tentare un dialogo in questo senso. I governi europei “volenterosi” nell’appoggio all’Ucraina dovrebbero anche farsi promotori di una nuova fase di accordi globali di controllo degli armamenti. È infatti responsabilità inemendabile delle vere democrazie liberali quella di promuovere il dialogo e la cooperazione tra Stati come modello alternativo a quello in cui l’uso della forza sia l’unico principio ispiratore.

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