Rapporto
set 27

Cosa posso fare io per Gaza: piccoli gesti e una lezione grande

Viviana Daloiso sabato 27 settembre 2025 - da www.avvenire.it

Pregare. Boicottare i prodotti israeliani. Una donazione a chi cerca di salvare la vita delle persone. Oppure decidere semplicemente di restare umani

La piazza, sì, per dire che non sono anestetizzata, che mi sono accorta di quello che sta accadendo, che non ci sto: però poi in piazza finisco sotto una bandiera, ne vedo un’altra imbrattata, qualcuno là avanti lancia le bottiglie, grida, insulta, qualcuno augura la morte a qualcun altro.
Cosa sto facendo, qui, per Gaza?

La Flotilla allora, da appoggiare sui social e tra gli amici, per dire che serve una mobilitazione politica, un segnale forte, che se qualcuno corre un rischio è perché chi ci governa decida di muoversi, di battere un colpo: però poi finisco tra le file di un partito, arruolata contro un altro, ed ecco di nuovo gli insulti, gli slogan, le strumentalizzazioni.
Cosa sto facendo, così, per Gaza?

Scrivo - mi convinco che resta almeno questo - per raccontare attraverso fatti documentati la strage degli innocenti che tutti devono vedere: però poi chi scrive, come me, a volte i fatti finisce per distorcerli, ricordando di volta in volta solo una strage, solo alcuni innocenti.

Alla fine non riesco più a tenerlo dentro, devo dirlo ad alta voce, devo chiederlo ai colleghi in riunione, ai genitori davanti a scuola, agli amici e in famiglia: ma cosa posso fare, io, per Gaza?

Permettetemi di farvi un breve elenco delle risposte che ho ricevuto, nella speranza che almeno una o due possano darvi il piccolo, momentaneo senso di sollievo dall’impotenza che hanno dato a me.

«Puoi pregare, ce lo chiede il Papa». Non che non l’abbia fatto finora, soprattutto da sola, la sera, prima di dormire. Ma certo, posso pregare di più, posso farlo sistematicamente unendomi a iniziative comunitarie: la preghiera è azione, la preghiera è grido, la preghiera cambia il mondo. Scopro che tante parrocchie hanno organizzato incontri. Scopro dalla chat del catechismo che nella mia, alla periferia est di Milano, hanno fissato un momento apposito tutti i mercoledì, ci chiedono di portare anche i bambini. Trovarsi è l’occasione per parlare di Gaza anche a loro, ai più piccoli, e provare a farlo al di fuori della logica dell’odio, dell’insulto, della strumentalizzazione. Spiegare loro quello che accade, pregare insieme a loro con la speranza che nel mondo che costruiranno non ci sia spazio per lo stesso orrore.

«Puoi boicottare i prodotti israeliani, a cominciare dal supermercato». Scopro, stavolta dalla chat di quartiere, che gira una lista: una mamma si è informata attraverso i canali della grande distribuzione, tante altre hanno deciso di seguirla e si è formato una specie di gruppo di acquisto consapevole. Le più attente alla questione hanno raccolto anche gli indirizzi email di alcune grandi aziende internazionali e di istituti bancari che hanno investito in Israele o che ne finanziano varie attività, da quelle immobiliari fino alla fabbricazione delle armi: inviano messaggi a turno (la tecnica è quella del bombing), chiedendo la fine delle violenze e della fame a Gaza. Mi dicono di sentirsi utili nel loro piccolo, impegnate in qualcosa di concreto, attive e non passive rispetto alle notizie di ogni giorno.

«Puoi fare una donazione a chi cerca di salvare la vita delle persone, di curarle o di far arrivare gli aiuti nella Striscia». La Caritas tramite il Patriarcato latino di Gerusalemme, le Ong come Oxfam, Emergency, Medici senza frontiere. A oggi non c’è la certezza che questi aiuti possano arrivare effettivamente a destinazione (non per colpa di chi prova a farli arrivare, s’intende), ma le realtà che hanno deciso coi loro volontari di continuare a operare in Medio Oriente, e non solo, hanno bisogno di sostegno concreto. È il momento di farglielo avere.

«Puoi fermarti ad ascoltare, puoi decidere di restare umana». Questa frase l’ho sentita proprio ieri, nel corso di un pranzo informale organizzato all’Università Cattolica durante il quale ho avuto la grande fortuna di incontrare Mayan Inon, israeliana, i cui genitori sono stati uccisi il 7 ottobre. Da allora è entrata nel Parents Circle, l’organizzazione che dal 1998 fa incontrare ebrei e palestinesi che hanno perso un familiare, promuovendone il dialogo: una realtà straordinaria di cui abbiamo parlato tante volte, sulle pagine di Avvenire. Scopro dove vivevano, i suoi, come sono stati barbaramente uccisi, come la comunità del kibbutz dov’è cresciuta si sia disintegrata in un istante lasciando lei e i suoi fratelli soli al mondo. Scopro che il suo migliore amico, che lavorava con lei in un ristorante di Tel Aviv, era palestinese di Gaza e che anche lui è stato ucciso. Vedo lo stesso lutto, lo stesso dolore nei suoi occhi, che non fa differenze di bandiera o di partito. La sento ripetere che tra la strada della paura e dell’odio e quella dell’amore, che le si sono parate davanti dopo quello che ha vissuto, lei non ha avuto il minimo dubbio e ha scelto quella dell’amore.

Continuare a guardare l’altro, ascoltarne la storia e le ragioni, accoglierle fino a sentirle sotto la pelle, a mescolarle con le proprie: amico, nemico, simile, diverso, vicino, lontano, buono, cattivo, vittima, carnefice.

Riconoscere, infine, che ciò che possiamo fare davanti al Male - ciò che possiamo davvero fare, noi, per Gaza - è decidere di restare umani.

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