Il vertice
set 03

Le spese per curarsi sono sempre più legate ai redditi. Non è una buona notizia

Leonardo Becchetti  - da www.avvenire.it -mercoledì 3 settembre 2025

Chi è più povero non può investire denaro nella propria salute, mentre il ceto medio che può sostenere gli extracosti ha meno patologie. Anticipazioni di uno studio del Festival dell’Economia Civile

In un sistema sanitario veramente universale e “perfetto” la domanda di cura è soddisfatta da parte della sanità pubblica, entro limiti ragionevoli di tempo, senza costi per i cittadini. In un sistema siffatto la spesa sanitaria out of pocket (del privato che ci mette risorse proprie) è confinata entro ambiti molto limitati (come il pagamento di ticket secondo criteri di progressività fiscale) ed è dunque funzione delle condizioni di salute oggettive e soggettive dichiarate e non dipende dal livello del reddito.
Quando invece i dati ci dicono che la spesa sanitaria privata, al crescere del reddito, trova spazio per crescere (ovvero identificano una correlazione positiva e significativa tra spesa sanitaria privata e livello del reddito) ciò implica che chi ha livelli di reddito bassi non spende in sanità quanto vorrebbe (non si cura come dovrebbe) e solo una crescita del suo reddito gli consente di poter spendere di più e curarsi meglio. Questo fenomeno è definito in letteratura scientifica come razionamento delle cure sanitarie.
Su un campione rappresentativo di circa 3.000 italiani e su dati 2025 per una ricerca sviluppata in occasione del Festival Nazionale dell’Economia Civile le nostre stime trovano che chi dichiara tra i 50 e i 70mila euro lordi spende di tasca propria mediamente 300 euro in più al mese per cure sanitarie rispetto a chi dichiara livelli di reddito più bassi. Ciò al netto dell’influenza di tutte le altre variabili rilevanti considerate come patologie dichiarate, stato di salute soggettiva percepito, genere, età, livello d’istruzione, condizione familiare, area geografica in cui vive.Il fatto singolare è che i cittadini con più alto reddito che spendono di più dichiarano di avere meno patologie e una salute migliore. È pertanto ragionevole pensare che i 300 euro siano una soglia inferiore del vero razionamento che è di fatto superiore se sommiamo le spese di assicurazione privata (presumibilmente maggiori per i più ricchi che in proporzione maggiore scelgono di stipularla) e consideriamo il differenziale di salute a favore dei ricchi. Ossia i meno abbienti non possono spendere ogni anno una somma importante di denaro per investire nella propria salute con effetti negativi su salute futura e aspettativa di vita. Nel Rapporto sul Benvivere, che verrà presentato il prossimo 4 ottobre all’interno del Programma del Festival Nazionale dell’Economia Civile, approfondiremo anche alcune delle conseguenze delle differenze territoriali sulla speranza di vita legate alla qualità del sistema sanitario, al di là del dato aggregato nazionale di razionamento.
Due caveat a questi risultati che richiedono ulteriore approfondimento sono la componente di maggiore progressività fiscale sui ticket dei più ricchi che rappresenta soddisfacimento e non negazione del principio di equità e le spese sanitarie “voluttuarie” (es. trattamenti estetici sempre più diffusi dove siamo tra i paesi con spesa più elevata) che non rappresentano violazione del principio di equità. Molto importante dunque scorporare queste due voci dal vero e proprio razionamento sanitario che invece viola quel principio.
Il nostro sistema formalmente universale consentirebbe in principio ai meno abbienti di curarsi pubblicamente a costo zero o quasi ma, come sappiamo, l’eccesso di domanda di sanità pubblica (alimentato anche dai più ricchi) crea lunghissime file d’attesa che rendono di fatto l’eguaglianza di accesso alle cure tra ricchi e poveri un’illusione. Il razionamento delle cure sanitarie alimenta purtroppo molto spesso circoli viziosi per i quali i meno abbienti rinunciano a cure o diagnostica che avrebbero sostenuto a proprie spese nel privato finendo per far aggravare le proprie condizioni ed aumentando il fabbisogno e i costi delle cure future.
Fenomeni come quelli dei viaggi della salute per cure dentarie nei paesi dell’Est Europa sono tentativi di aggirare il razionamento delle cure abbassando di fatto il costo del proprio fabbisogno. La migrazione sanitaria misurata in termini di notti in ospedale fuori regione determina invece nei meno abbienti un potenziale aggravio di razionamento delle cure sanitarie aumentando, a parità di prestazioni, il costo delle stesse che si carica anche dei viaggi di trasporto. Se i nostri dati danno una misura del fenomeno da una determinata prospettiva le possibili risposte di policy, tenuto conto dei vincoli di bilancio, non sono semplici. Le direzioni da seguire sono quelle di favorire la medicina di territorio (case di comunità) per ridurre il congestionamento dei pronto soccorso e degli ospedali, ridurre il problema del sottodimensionamento del personale sanitario, di coinvolgere il privato non solo nelle parti più remunerative del trattamento sanitario e di valorizzare il fattore relazionale che è un elemento invisibile ma fondamentale per il successo nelle cure.
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