Il segno 13 Marzo
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Giovani donne, l’alternativa amara: più lavoro e meno voglia di famiglia

Luciano Moia - DA WWW.AVVENIRE.IT sabato 13 marzo 2021

L’occupazione non basta per aprire la strada alla generatività. Un dossier di Cisf, Osservatorio Toniolo e Università Cattolica rovescia convinzioni che sembravano assodate

La crescita del lavoro femminile non sembra più essere sufficiente per invertire il trend dei matrimoni e delle nascite. Anzi, quanto più le donne oltre i 30 anni sono impegnate in un lavoro a tempo indeterminato, tanto meno manifestano l’intenzione di far famiglia e di mettere al mondo un figlio. Al contrario sembrano soprattutto i maschi tra i 25 e i 30 anni a desiderare una famiglia.

Sono tra i risultati, in sorprendente controtendenza, della ricerca Giovani, famiglia e futuro attraverso la pandemia (San Paolo, 2021) che si propone di misurare come sia cambiata la voglia di far famiglia al tempo del Covid. Lo studio è stato realizzato dal Cisf (Centro internazionale studi famiglia), dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo e dal Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia della Cattolica.

Le sorprese infatti non mancano, a cominciare dal diverso atteggiamento tra ragazzi e ragazze. Il fattore età non è indifferente. Mentre tra chi ha meno di 30 anni la percentuale di chi vuole sposarsi è di circa il 70 per cento. Tra chi ha superato questa età scende al 55,6%. Quasi che, trascorrendo il tempo, l’abitudine alla vita da single sia sempre più difficile da superare. In questa percentuale generale, c’è però da fare una distinzione. Sono le donne ultratrentenni che lavorano quelle che si dichiarano meno attirate dal matrimonio (lo desiderano solo il 53,6), mentre la percentuale sale al 72% tra le donne disoccupate o in cerca di occupazione. E se si tratta di un lavoro a tempo indeterminato la percentuale di chi guarda favorevolmente alle nozze scende al 48,7. La maggior parte insomma non desidera sposarsi, rovesciando l’assioma secondo cui alla stabilità del lavoro corrisponde la ricerca della stabilità affettiva. Ma, come già emergeva con chiarezza dal Rapporto Cisf 2020 La famiglia nella società postfamiliare, il concetto di stabilità affettiva può anche escludere il matrimonio dai suoi obiettivi più importanti. Un quadro che sembra contraddire ciò che era stato a lungo ipotizzato sul rapporto tra matrimonio e lavoro. E che cioè un’occupazione stabile andava considerata un presupposto importante per aprire la strada verso le nozze. Secondo il dossier presentato ieri sembra vero proprio il contrario. Perché? Carriere più a rischio? Lavoro più instabile? Relazioni fluide? In ogni caso, non si tratta di una buona notizia.

Anche il desiderio di avere un figlio non sembra più marginale. Osservano Camillo Regalia ed Elena Marta, autori del capitolo sulla progettualità familiare: tra le donne oltre i trent’anni si osserva «un importante calo di tensione generativa», mentre il desiderio di genitorialità sembra caratterizzare con maggiore intensità l’orizzonte progettuale maschile. Una divaricazione che lascia un po’ disorientati. Mentre tra gli uomini che lavorano l’84% dichiara di desiderare un figlio, tra i disoccupati questa percentuale scende al 71%. E fin qui è facile comprenderne i motivi.

Tra le donne però il rapporto si inverte. Tra quelle che lavorano il 65% dichiara di desiderare la maternità, tra chi non lavora si sale al 76%.

E, tra le donne laureate, osservano ancora i due esperti «le intenzioni generative sono più basse rispetto a quelle che non lo sono, 63,9% contro il 76,7».

Si potrebbe dire che mentre lo sguardo positivo verso la famiglia rimane sostanzialmente prevalente, sale la diffidenza verso il matrimonio-istituzione. Famiglia sì, ma più destrutturata, più “leggera”, non come l’abbiamo sempre intesa. Insomma, come già si osservava nel Rapporto sulla famiglia 2020, la società postfamiliare è davvero realtà diffusa e pervasiva se è vero, come si ribadisce nel rapporto presentato ieri, che sono ormai il 45% coloro che manifestano una posizione variamente critica verso il matrimonio.

Eppure investire sulla famiglia rimane, spiega la ricerca, un fattore di benessere importante. Chi punta sul matrimonio e sui figli sta meglio rispetto a chi è indifferente: «Il messaggio che i giovani sposati offrono a coloro che sono incerti rispetto al loro percorso affettivo, è che la scommessa del fare famiglia può essere vincente, promuovere una miglior visione di sé e favorire un atteggiamento più fiducioso verso la realtà». La pandemia non ha modificato l’elenco delle ragioni che per i giovani rendono difficile il far famiglia, ma ha contribuito a renderli maggiormente consapevoli di quali possono essere le strategie per farvi fronte. La percentuale di chi ritiene che sarà più difficile sale dal 61,6% al 63,5%, mentre di pensa che sia più facile scende dall’11 all’8,2%.

«La pandemia ha prodotto un contesto - scrive nelle prefazione Paola Bignardi, membro del Comitato di indirizzo del Toniolo - in cui le relazioni sono state messe alla prova e il tessuto sociale e comunitario sembra essersi frammentato e sfilacciato in molteplici rivoli, in cui ciascuna generazione o categoria cerca il riconoscimento della propria identità e la soddisfazione dei propri bisogni».

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