L’intervista
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Il Nuovo Testamento

Luciano Canfora - da www.corrieredellasera.it -  20 agosto 2025

Il Nuovo Testamento è un libro di enorme rilievo, mai letto da coloro che lo venerano se non in minima parte. Ma dopotutto questo è un destino che riguarda tanti testi importanti che diventano un simbolo e un punto di riferimento al di là del contenuto. Già dal titolo di quest’opera - tramandato anche nella tradizione manoscritta - potremmo ricavare un elemento interessante: perché «nuovo»?

La tradizione cristiana, che si è espressa in greco sin dalle origini, ingloba come proprio antefatto la religione ebraica, il cui testo fondamentale è il Pentateuco, cioè i primi cinque libri dell’Antico Testamento. Gli ebrei sono comprensibilmente infastiditi dall’idea di «antico» e «nuovo» che sembra alludere ad un progresso rispetto a una fase precedente e più arretrata. Si tratta di una questione terminologica e non solo, perché allude al difficile rapporto tra due grandi monoteismi al tempo stesso connessi e distinti per tanti motivi.

Alla questione aggiungiamo solo una notazione: la tradizione cristiana ha agevolato la traduzione in lingua greca dell’Antico Testamento soprattutto nel mondo egiziano, che fu punto nevralgico della sua diffusione. Così il testo è diventato un corpus unico, «antico» e «nuovo», che anche nell’editoria moderna determina una compattezza libraria che nasconde due realtà molto diverse.

I testi che costituiscono il corpus del Nuovo Testamento raccolgono i tre Vangeli cosiddetti Sinottici - perché molto simili nel contenuto e nella forma, un quarto Vangelo di Giovanni, gli Atti degli Apostoli, le 14 Lettere dell’Apostolo Paolo, le Lettere canoniche attribuite ad altri personaggi e l’Apocalisse - un testo, quest’ultimo, che ha faticato ad entrare nel canone.

Dal punto di vista letterario, il Vangelo di Luca è molto più raffinato del Vangelo di Matteo, che risente ancora della lingua di partenza - l’ebraico - e di una traduzione in un greco molto popolare. Ed è Luca ad aver quasi certamente messo insieme il racconto delle vicende degli Apostoli, quasi a costituire due libri contigui: il Vangelo che porta il suo nome e gli atti.

Gli episodi raccontati fanno capo agli anni 25-30 dell’era volgare e coprono l’arco della vita attiva di Gesù. Quand’è che viene fuori questo insieme di testi che si presenta come cronaca diretta, sebbene non sia contemporaneo agli eventi narrati? Data la grande quantità di papiri ritrovati - soprattutto, per quel che riguarda il Nuovo Testamento, nel mondo egizio - potremmo dire, per essere concreti, che i papiri più antichi sono le prime tracce scritte di questo corpus. E potremmo aggiungere che un frammento contenente uno dei tre Sinottici (un papiro Rylands dell’omonima collezione) è databile al 110-120 dopo Cristo.

A un secolo dall’inizio dell’era volgare, e a sessant’anni dalla morte del protagonista di quelle narrazioni, già esiste un racconto scritto. Si è formato in un ambiente che, sostanzialmente ad opera di un personaggio notevole e politicamente molto aggressivo come l’Apostolo Paolo, ha determinato la nascita di un testo canonico comune ad una grande comunità di fedeli.

Perché abbiamo una quantità di papiri del Nuovo Testamento quasi pari a quelli di Omero e ai due testi più tramandati in documenti antichi? Perché è il libro di una fede che si diffonde nell’intero bacino Mediterraneo, soprattutto dove il greco è dominante. Il mondo ellenofono, greco continentale, egizio, è vastissimo ed è l’area di diffusione di una nuova religione che, svincolata dall’origine localistica in Palestina, diventa un culto di carattere universale che propugna concetti, prospettive e obiettivi tutt’altro che tranquillizzanti.

Un paragone tra due brani dei Sinottici ci aiuta a capire cosa si intenda quando si parla di un testo «sovversivo» - parola molto impegnativa. Da un lato il ‘Sermone della montagna‘ del Vangelo di Luca («Beati i poveri perché il loro è il regno dei cieli»), dall’altro il testo parallelo di Matteo: «Beati i poveri di spirito perché il loro è il regno dei cieli». È un ritocco interessante, che addolcisce la formulazione originaria, chiaramente classista. Come a dire: «I poveri, calpestati in tutte le società divise in classi sociali, sappiano che nel Regno dei Cieli passeranno davanti agli altri». Una prospettiva salvifica - da qui la definizione di «religioni di salvezza» - che prospetta una realtà più giusta in un mondo ultraterreno. È un testo di battaglia, di combattimento.

Un altro terreno, altrettanto sovversivo rispetto al perbenismo molto presente nelle realtà provinciali dell’Impero e nei ceti dirigenti, riguarda i rapporti personali. Il testo cardine di questa pagina innovatrice - contenuta nel Nuovo Testamento - è il celebre «episodio dell’adultera».

Episodio straordinario che ha commosso tanti: è molto noto, ma è bene ricordarlo. Gesù viene raggiunto da personaggi piuttosto ipocriti che additano una donna quasi immobilizzata, dicendogli: «Questa è un’adultera, la nostra legge prevede che sia lapidata». Gesù non risponde, guarda a terra, fa dei segni più o meno misteriosi e alla fine dice: «Chi è convinto di non aver mai peccato scagli la prima pietra». Pian piano tutti i presenti si allontanano. Sulla scena rimangono solo Gesù e l’adultera, che chiede: «Dove sono andati?». Si rende così evidente che quella punizione era solo un’esplosione di perbenismo moralistico. Questo è un testo che denota in modo evidente le potenzialità di una collezione di testi di più di 2mila anni fa, venerati ma poco frequentati.

17 maggio 2025 ( modifica il 21 maggio 2025 | 11:43)

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