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Perché nella burrasca dei debiti pubblici l’Italia è più al riparo degli altri

Pietro Saccò - da www.avvenire.it - domenica 25 maggio 2025

Crescono le tensioni sui titoli americani e giapponesi a causa di deficit eccessivi. Il contagio si dirige verso l’Europa. Dove stavolta Roma sembra messa bene

Se i governi volevano mettere alla prova la generosità degli investitori, il test non sta andando benissimo. Mentre ci avviciniamo alla metà di questo 2025 i mercati delle obbligazioni di Stato, i titoli con cui le nazioni si finanziano a debito, iniziano a mostrare qualche significativo segno di cedimento. Già a febbraio l’Institute of International Finance (Iif) - l’associazione mondiale dei grandi creditori di governi, cioè banche, compagnie assicurative e fondi di investimento - aveva avvertito che con un debito pubblico globale già salito oltre quota 95mila miliardi di dollari iniziavano a vedersi «dinamiche pericolose» sui mercati. Poi ci ha pensato Donald Trump a fare il resto. Il presidente del Paese che ha il maggiore debito pubblico al mondo in valore assoluto (36.210 miliardi di dollari, il 124% del Pil) ha presentato un piano di tasse e spese particolarmente costoso: in un decennio aggiunge 3.800 miliardi di altro debito, fino a sfondare quota 40mila miliardi di dollari. Il testo è passato con un solo voto a favore alla Camera e ora è diretto al Senato, dove ha buone speranze di passare.

È questo piano fiscale che ha portato Moody’s a tagliare il giudizio sul merito di credito degli Stati Uniti d’America, togliendo la tripla A che rappresenta il livello massimo, come già avevano fatto Fitch nel 2023 e S&P nel 2011. Con il risultato che mercoledì gli investitori sono arrivati a chiedere interessi superiori al 5% per prestare denaro agli Stati Uniti per 30 anni (il massimo dal 2007). Lo stesso giorno, a un’asta di T-Bond con scadenza ventennale la domanda è stata molto tiepida. Il tasso dei treasury con durata di 10 anni è di nuovo sopra il 4,5%, di quasi un punto percentuale superiore al 3,6% offerto dai vecchi Btp decennali italiani.

​L’inquietudine dei grandi investitori

I mercati finanziari sono globali e l’inquietudine sui piani di indebitamento americani si allarga rapidamente agli altri grandi debitori del pianeta. Sul Giappone, prima di tutto, che con un debito pubblico di 1.324 migliaia di miliardi di yen (circa 9.280 miliardi di dollari) è il secondo Paese più indebitato in assoluto e il primo per il rapporto debito-Pil, a uno stellare 255%. La Banca centrale giapponese sta provando a ridurre le misure di stimolo quantitativo degli anni passati, che prevedevano grandi acquisti di titoli di Stato comprati attraverso l’emissione di yen, ma ora è sotto pressione per fare retromarcia e intervenire per dare stabilità al sistema. A Tokyo i tecnici del ministero dell’Economia abituati da decenni a gestire questo enorme debito nazionale, ultimamente provano qualche brivido sulla schiena quando è il momento di emettere nuove obbligazioni. Martedì un’asta di bond nipponici con scadenza a vent’anni ha visto un allarmante allargamento della distanza tra l’offerta media e quella più bassa tra quelle accettate, tecnicamente la “coda” del collocamento: un chiaro segnale della scarsa propensione degli investitori ad acquistare altro debito giapponese, soprattutto a lunga scadenza.

Gli scricchiolii che si avvertono in America e in Giappone arriveranno rapidamente in Europa. «I mercati dei bond globali potrebbero andare sotto pressione - hanno avvertito gli analisti della banca d’investimento Ig in una nota pubblicata mercoledì - dal momento che gli investitori istituzionali giapponesi, che sono acquirenti significativi di debito pubblico estero, riportano in patria i capitali». Lo spostamento massiccio di liquidità dovrebbe colpire con più forza gli Stati Uniti, ma anche la zona euro sentirà qualche scossone. Già lo scorso gennaio i dati della Banca del Giappone, analizzati da Goldman Sachs, mostravano che tra giugno e novembre del 2024 le vendite netto di debito della zona euro da parte di investitori giapponesi erano ammontate a 41 miliardi di euro, la vendita più massiccia di sempre.

​La strategia vincente dell’Europa

Gli europei, e gli italiani più degli altri, hanno una certa esperienza nella gestione delle crisi del debito. Forse avevano fiutato l’aria, intravedendo uno scenario di un mercato dei bond più burrascoso a causa delle mosse imprevedibili di Trump, o forse avevano capito che quest’anno la lotta per conquistarsi prima degli altri i fondi dei grandi investitori sarebbe stata più dura. E anche loro, come a Tokyo, sono alle prese con una banca centrale che sta gradualmente svuotando il suo portafoglio riempito di titoli di Stato negli anni del quantitative easing: la Bce cederà infatti titoli di Stato per 250 miliardi di euro quest’anno. Così i ministeri dell’Economia si sono mossi di anticipo. Un’analisi di Generali Asset management mostra che nei primi quattro mesi dell’anno i governi della zona euro hanno raccolto sui mercati 600 miliardi di euro, circa il 45% del fabbisogno complessivo dell’intero 2025.

L’Italia è entrata nel mese di maggio con addirittura il 47% della raccolta dell’anno già completata. Adesso si prepara a chiedere nuove risorse ai suoi cittadini con la diciannovesima emissione di Btp Italia, il titoli di Stato con il tasso indicizzato all’inflazione pensati soprattutto per i piccoli risparmiatori. Sarà in vendita da martedì, avrà una durata di 7 anni e come sempre potrà approfittare del vantaggio fiscale riservato ai titoli di Stato, con una tassazione dei rendimenti al 12,5% contro il 26% degli altri prodotti finanziari. Soluzioni di questo tipo continuano a garantire al ministero dell’Economia una certa dose di stabilità sugli oltre 3mila miliardi di euro di debito pubblico: i piccoli risparmiatori sono tradizionalmente investitori fedeli e pazienti, poco propensi a grandi spostamenti di denaro da una “asset class” a un’altra. Non partecipano facilmente ai cosiddetti “selloff”, le vendite di titoli in massa che possono generare improvvise crisi finanziarie.

Perché Moody’s ha promosso l’Italia

Si spiega anche così la decisione di Moody’s, che venerdì ha alzato il suo giudizio sul debito pubblico italiano, portandolo da stabile a positivo, sempre con un rating Baa3. Il merito va anche alle politiche fiscali conservative adottate dal governo. «Il cambiamento dell’outlook a positivo riflette il miglioramento delle prospettive fiscali sullo sfondo di una performance fiscale migliore del previsto nel 2024 e di un ambiente politico interno stabile, che aumenta la probabilità che i parametri fiscali continuino a migliorare in linea con il piano fiscale-strutturale a medio termine del governo - ha scritto l’agenzia di rating -. L’outlook positivo è inoltre supportato da un mercato del lavoro robusto, da bilanci solidi delle famiglie e delle imprese e da un settore bancario sano. Ulteriori miglioramenti attesi nella posizione netta degli investimenti internazionali sono probabilmente destinati a sostenere la resilienza economica e a ridurre la suscettibilità dell’Italia al rischio di eventi». Nella burrasca del debito che sta montando, per una volta l’Italia sembra potere stare più tranquilla di altri.

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