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Giornalisti, medici, musicisti: perché la repressione di Putin non si ferma

Raffaella Chiodo Karpinsky -  da www.avvenire.it - domenica 18 maggio 2025

Mentre continua la guerra contro l’Ucraina, il fronte interno del dissenso al Cremlino prova a far sentire comunque la sua voce. La difesa dei diritti incontra però la repressione dei tribunali

Mentre tra Istanbul e Tirana si svolgono prove di negoziati, nei tribunali della Russia continuano i processi per chi si oppone alla guerra e al regime. La macchina del fango e della repressione non si è mai fermata e produce le condizioni “legali” per ammutolire chi non vuole tacere. Secondo Ovd Info, l’organizzazione per i diritti umani che monitora la repressione nel Paese, i prigionieri politici sono 1.610. Ma è solo il numero noto. Gli arresti in questi tre anni non hanno sempre raggiunto la luce. Lo prova il caso del pianista Pavel Kushmir, arrestato per un video di pochi secondi su YouTube contro la guerra, morto in cella per lo sciopero della fame. È la punta di un iceberg di cui nessuno conosce l’entità della parte sommersa. Gli ultimi in ordine di tempo sono: un noto chirurgo di Mosca Ivan Tishchenko condannato a 4 anni di carcere e il cui ricorso verrà esaminato questi giorni. Il capo d’accusa: sostegno a un’organizzazione estremista per 70 dollari versati al Fondo contro la corruzione creato da Navalny. Tanti i medici venuti per sostenere il collega. All’ingresso del tribunale, gli ufficiali giudiziari hanno confiscato i camici bianchi, temendo che li indossassero in segno di solidarietà con il chirurgo. Poi Grigorij Melkonyanets, arrestato nell’agosto 2023 come portavoce di Golos (Voce), movimento per la tutela dei diritti degli elettori impegnato da oltre 20 anni nel monitoraggio delle elezioni in Russia. Contro di lui le solite “prove”, in questo caso aver operato per un’organizzazione non grata secondo la parte 3 dell’articolo 284.1 del codice penale. A poco è servito fare notare che il movimento era stato sciolto quando era stato inserito nella lista degli agenti stranieri e che l’associazione non sia mai stata dichiarata indesiderata da parte delle autorità. Per il presunto crimine, il pubblico ministero ha chiesto la pena più severa: sei anni di colonia penale. A nulla sono valse, anzi hanno nuociuto, le testimonianze di personalità come Alekseij Venediktov ex direttore di Radio Eco di Mosca chiusa subito all’inizio della invasione, Nikolaij Rybakov di Yabloko e di Boris Nadezhdin che tentò di candidarsi alle elezioni presidenziali. Tra i più colpiti dalla repressione i giornalisti. L’alto commissario dell’Onu per i diritti umani ha denunciato i continui attacchi alla libertà di parola e la criminalizzazione del giornalismo indipendente in Russia chiedendo il rilascio dei reporter detenuti «semplicemente per aver fatto il loro lavoro» e affermato che 12 dei 30 cronisti dietro le sbarre sono stati condannati a pene detentive che vanno dai cinque anni e mezzo ai 22 anni. L’accusa è sempre quella di avere diffuso “fake news” a discredito delle forze armate. Dire cioè la verità su ciò che accade in Ucraina equivale a dire il falso. Ma a rappresentare il biasimo non è la cronaca basata sui fatti riportata dai giornalisti ma la morte di tanti civili innocenti sotto le bombe. Contro queste ingiustizie palesi e paradossali, in questi anni i russi contrari alla guerra rimasti nel Paese hanno continuato a esprimere dissenso. Chi nelle cucine, chi con picchetti solitari chiedendo la liberazione del poeta, della regista, del chirurgo, delle tante donne come l’anestesista, la pediatra o la giornalista. Questi altri russi hanno preso in mano i loro destini e costituito reti di sostegno economico e legale così come il quanto mai vitale sostegno psicologico e morale. Nella Germania nazista erano le rose bianche, qui sono i lillà e i mughetti che accompagnano le notti bianche di Mosca o San Pietroburgo. In questi giorni di celebrazioni della vittoria sul Nazismo che in Unione Sovietica ha seminato milioni di lutti, nonostante tutti gli sforzi del regime di costruire una narrazione per collegare la lotta al nazismo all’odierna invasione dell’Ucraina sono risuonate anche le voci di veterani della guerra o di Ljudmila Vasiljeva, la pacifista sopravvissuta all’assedio di Leningrado. Persone al riparo dall’accanimento delle autorità per la loro popolarità. Gli account dei media indipendenti hanno diffuso video con le loro testimonianze che bruciano più di molte altre denunce. Con le numerose medaglie sul petto a testimoniare il loro contributo alla guerra patriottica parlano dell’incomprensibilità della guerra contro il popolo ucraino. «Negli anni della lotta al nazifascismo eravamo soldati russi, ucraini, tatari e lottavamo insieme contro il male per un futuro dove vivere in pace e non vedere più la brutalità, non certo per vedere i nipoti morire combattersi fra loro».

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