Sulla manovra ci siamo persi in una tazzina di caffè
Che siano realmente “ricchi” tutti i beneficiari degli sgravi Irpef si può discutere. Ma il problema è comunque un altro: a forza di correttivi si andrà poco lontano
9 novembre 2025 - da www.avvenire.it
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante l’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, sulla legge di bilancio 2026
Capita spesso di perdersi in un bicchier d’acqua. Nella settimana che va a finire, invece, l’impressione è che ci siamo tutti, o quasi, persi in una tazzina di caffè. Ovvero il beneficio netto che si troveranno in busta paga i fortunati vincitori del taglio all’Irpef previsto dalla manovra 2026, oggetto di attacchi, difese e il 12 dicembre di uno sciopero indetto dalla Cgil (a sua volta assai divisivo).
Vale la pena di ricordare che la finanziaria in questione sfiora per valore assoluto i 19 miliardi, e che con il suo valore relativo dello 0,8% sul Pil è la più “magra” degli ultimi anni. Una coperta ancora più corta del solito, dunque, che qui in ZeroVirgola riteniamo senza troppi sofismi abbia il merito di fare il massimo con il minimo, visto che - nonostante le dimensioni limitate - consentirà all’Italia di migliorare i suoi fondamentali di bilancio al punto da farla uscire in anticipo dalla procedura di infrazione della Commissione europea. Per le stesse ragioni, ha poco, pochissimo da distribuire e quindi un modesto, davvero troppo modesto, impatto sull’economia reale: se ne sono lamentati quasi tutti i rappresentanti di categoria che sono sfilati in Parlamento durante le audizioni di rito. A far particolare rumore sono state le osservazioni di Istat e Bankitalia, che giovedì hanno fatto notare come i tagli all’Irpef produrranno i loro principali benefici a chi ha redditi più alti. Piuttosto lapalissiano, viste le premesse. Ma apriti cielo: il più classico effetto palla di neve ha fatto sì che i rilievi tecnici diventassero un attacco politico, e soprattutto che i beneficiari in questione finissero per trovarsi indistinamente catalogati come “ricchi”, anche se lì in mezzo c’è chi guadagna 200mila euro l’anno ma anche 50mila, che - come ci ha fatto notare un collega - verosimilmente fatica a considerarsi ricco, soprattutto se abita in una grande città. Il ministro Giorgetti ha dato spiegazioni tecniche e politiche della scelta fatta, ricordando che l’anno scorso il minimo spazio di manovra consentito dalla manovra 2025 era stato utilizzato a favore delle classi reddituali inferiori, e facendo intendere che qualcosa potrà accadere con quella dell’anno prossimo.
E qui entriamo nella tazzina di cui sopra. Il taglio all’Irpef oggetto dello scontro porterà nelle tasche dei beneficiari 440 euro netti, poco più di un caffè al giorno (ma alla macchinetta, non al bar). Un “piccolo gesto”, che comunque allo Stato costerà 3 miliardi. Più che legittimo chiedersi e polemizzare sulle altre vie che avrebbero potuto prendere queste risorse, ma così facendo il rischio è perdere di vista il problema vero. Che è quello di uno Stato in balìa del suo destino, ingabbiato in un sistema fiscale che nel tempo ha visto stratificarsi iniquità su iniquità ma che al massimo può essere oggetto di correttivi limitati a livello economico e temporale. Ritocchi che alimentano polemiche e il senso di insoddisfazione, ma non cambiano realmente lo stato delle cose. Che per la maggior parte degli italiani normali, formalmente poveri o “ricchi” che siano, fatica a migliorare realmente. Ce lo ha ricordato l’Eurostat con una brutale statistica pubblicata in settimana: fatto 100 il reddito disponibile degli italiani nel 2008, siamo gli unici - insieme ai greci - a essere ancora indietro. Oggi le famiglie italiane hanno a disposizione mediamente il 95,97% di sedici anni fa, contro una media dell’area euro pari al 109,4%. Siamo lontani dal minimo del 2013 (88,68%) e lentamente progrediamo, ma i nostri vicini hanno allungato il passo, nonostante situazioni economiche non particolarmente brillanti. E ora non basterà certo un caffè a svegliarci.
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