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Domenica 4 settembre Francesco canonizza la suora albanese “politicamente scorretta” che ha trascorso la sua vita a occuparsi dei più derelitti restituendo loro dignità

In soli cinquant’anni dall’approvazione pontificia voluta da Paolo VI nel 1964 le Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta sono cresciute da qualche centinaio a oltre 5.300 religiose in 758 case sparse per il mondo. Ma sarebbe un errore madornale leggere la storia di questa piccola donna albanese piena di rughe, fragile come una farfalla e coraggiosa come una leonessa, alla luce delle statistiche o dei «successi» numerici. Madre Teresa ha portato con grande forza al centro della sua vita e perciò della sua testimonianza l’amore incondizionato per i poveri, per gli ultimi. Per quei poveri e quegli ultimi che raccoglieva per le strade di Calcutta, riuscendo soltanto, nella maggior parte dei casi, ad assicurare una morte degna e circondata di amore. Quell’amore che non avevano mai potuto sperimentare lungo la vita di mendicanti o scartati dalla società delle caste. 

La piccola grande suora che ora viene proclamata santa non ha fondato una ONG. Nella casa madre delle Missionarie della Carità, all’entrata ha sempre campeggiato un crocifisso con la scritta: «I thirst!» («Ho sete!»). Le parole di Gesù sul Calvario. L’amore per i poveri, l’assistenza a coloro che nessuno vuole assistere, toccare e curare, è stato originato e ha preso quotidianamente forza nella preghiera: un’ora di adorazione e in tutto tre ore di preghiera al giorno. «Non le pare troppo lungo questo tempo dedicato alla preghiera?» aveva chiesto un giorno un visitatore. «No - è stata la risposta di Madre Teresa - non si può fare il nostro lavoro se non per amore e per grazia di Cristo. La nostra forza sono le ore di adorazione».

Un altro aspetto importante della sua testimonianza è stata la sua capacità di essere indiana tra gli indiani. Non si è presentata come una missionaria occidentale con mire di proselitismo. Voleva solo far brillare il volto della misericordia di Dio tra i miseri e i poveri. Lasciando a Dio ogni iniziativa sui cuori di coloro che venivano a contatto con lei. L’India, sempre molto sensibile al senso religioso - ha osservato padre Piero Gheddo - non la vedeva «come una che curava i malati, ma come il segno umano che Dio era presente in quei poveri e in quelle suore». Lo si è visto ai suoi funerali di Stato nel 1997.

Madre Teresa non ha fatto grandi piani, complicati progetti pastorali, strategie mediatiche o di marketing religioso. Ha curato il primo lebbroso che ha incontrato sul suo cammino. Poi il secondo, il terzo e così via. Riconoscendo nel volto dell’uomo e della donna sofferenti e abbandonati sul marciapiede il volto di Gesù. Semplicemente perché così Gesù ha chiesto di fare, come si legge nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo. E non ha voluto grandi strutture e grandi sicurezze per le sue suore, alle quali è chiesta una vita austera e di sacrifici. Non ha voluto tenere conti in banca per garantire il futuro della sua congregazione, spendendo tutto ciò che riceveva, «perché il nostro pericolo maggiore è diventare ricche». Ha mostrato che nell’amore, nell’accompagnamento, nella prossimità non c’è vita che non valga la pena di essere vissuta fino all’ultimo respiro. Non è andata a evangelizzare i poveri, si è lasciata evangelizzare da loro. «I poveri sono la riserva di umanità di cui tutti abbiamo bisogno, la riserva di amore, la riserva di capacità di soffrire e di gioire - ha detto -. Ci danno più di quanto noi diamo a loro».

È stata ed è una santa «controcorrente» perché per una lunga parte della propria vita ha sperimentato l’oscurità, i dubbi di fede. Per molti anni non ha potuto più ascoltare la voce di Dio. Questa umanissima, tragica esperienza la rende lontana mille miglia dall’immagine di un agiografico santino. È stata ed è controcorrente per la sua difesa della famiglia e della vita. Nel discorso in occasione del Premio Nobel assegnatole nel 1979 disse: «Oggi l’aborto è il più grande distruttore della pace, perché se una madre può uccidere il proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a me di uccidere te e a te di uccidere me».

Ma è stata ed è controcorrente anche rispetto a quanti pensano, sulla base di vecchie agende, che la necessaria valorizzazione della donna - ancora da realizzare nella Chiesa - passi attraverso una sua «clericalizzazione», con sacerdotesse o diaconesse ordinate. Madre Teresa non avere potere istituzionale nella Chiesa, eppure cardinali e Papi si sono inchinati davanti a lei. È stata ed è infine controcorrente di fronte a certo cattolicesimo contemporaneo ammantato di perbenismo e di «fisse» dottrinalistiche, che sembra provar fastidio di fronte all’insistenza sull’amore concreto e incondizionato per i poveri. Se fosse viva oggi, Madre Teresa sarebbe a Lesbos o a Lampedusa, a medicare le ferite di migranti e rifugiati.

Andrea Tornielli

Da www.lastampa.it del 2 settembre 2016

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