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da  www.csvpavia.it del 23 ottobre 2015

“Forse non tutti sanno che…” - Lo sfogo di un giovane operatore umanitario pavese che lavora sulla crisi Siriana dalla Turchia

Inserito il 23/10/2015 da

Scrivo questo articolo perché sono arrabbiato e stufo, ma anche e soprattutto perché sono indignato dall’ipocrisia, dalla superficialità e dalla cecità che in Italia come in Europa, abbiamo sviluppato nei confronti della crisi siriana.

Una crisi che le statistiche, e non solo le immagini violentate dai media internazionali, definiscono come la peggiore dalla seconda guerra mondiale.

Eppure da quel lontano 1948 ne abbiamo fatta di strada.

Diciamo di voler imparare dalla storia e dai nostri errori, ma questa gente che arriva a fiumi dentro i nostri confini che piange lacrime tanto amare che dovremmo riuscire a sentirne il sapore solamente guardando le immagini di tanta miseria da dietro uno schermo o da un giornale, dal mio punto di vista, dimostrano l’esatto contrario. Quello che sta succedendo in Siria è l’esatto contrario.

Quello che mi fa arrabbiare e che mi fa vergognare, è che siamo talmente egoisti che pensiamo e parliamo troppo spesso dei problemi che queste persone possono causare e non quello da cui sono costretti a fuggire, a rinunciare e ad abbandonare.

Internally displaced people (IDPs) in Syria - sfollati all'interno dei propri Paesi

Internally displaced people (IDPs) in Syria - sfollati all’interno dei propri Paesi

Perché non si tratta solo di lasciare indietro vestiti, giocattoli, o beni, ma questa gente lascia indietro la propria casa, la propria terra, la propria famiglia.
Credetemi se vi dico che da 3 mesi a questa parte non ho ancora conosciuto un siriano che mi abbia detto “ah quando la guerra finirà…”.

No.

Perché non vedono una fine. Non vedono un poi in tutto questo. Non vedono un futuro. Quello che queste persone letteralmente hanno abbandonato, partendo e salpando per quell’incubo che è diventato la migrazione verso l’Europa, è il proprio futuro.
Abbandonano la propria vita e quella dei propri cari.

La crisi di rifugiati, l’intervento dei Russi, l’ISIS sono solo una parte di quello che è la Siria oggi. Quello che sappiamo, o pretendiamo di sapere, non è che una piccola parte dell’orrore che sta diventando la Siria.

Ma forse non tutti sanno che nonostante tutto ciò che sta accadendo, 16.7 MILIONI di Siriani non hanno ancora abbandonato il proprio paese.

Forse non tutti sanno che a oggi ci sono 13.5 MILIONI di persone che hanno bisogno di aiuto in Siria di cui 6,7 MILIONI sono bambini e bambine.

Forse non tutti sanno che 6.5 MILIONI di persone sono rifugiati interni e non hanno una casa a cui tornare in Siria. Solo 1.7 MILIONI hanno accesso a campi profughi.

Forse non tutti sanno che dal 2011, una media di 50 famiglie al giorno sono stati sfollati.

Forse non tutti sanno che dall’inizio del conflitto sono morte circa 250 MILA persone, 4000 solo in Settembre 2016, e che il governo ha fatto più vittime del famigerato ISIS.

Forse non tutti sanno che oltre 2 MILIONI di bambini non possono andare a scuola, e forse non potranno andarci mai e che 10.000 sono rimaste vittime del conflitto.

Forse non tutti sanno che 8.6 MILIONI di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare e non sono in grado di procurarsi cibo in maniera autonoma.

Forse non tutti sanno che il 70% della popolazione Siriana non ha accesso ad acqua potabile.

Forse non tutti sanno che solo il 45% degli ospedali è completamente operativo in Siria, spesso sottoterra, senza corrente elettrica e senza acqua corrente.
I restanti sono stati volutamente mirati e colpiti dai bombardamenti.

Forse non tutti sanno che i raid Russi non hanno mirato solo marginalmente ai bersagli appartenenti all’ISIS da quando hanno incominciato i bombardamenti, e che l’esercito più temuto al mondo sta guadagnando terreni e risorse impadronendosi dei territori controllati dai ribelli (prime vittime dei bombardamenti russi e della furia dei barili gettati dal governo di Assad).

Forse non tutti sanno che questi dati non sono migliorati rispetto all’anno passato, ma sono peggiorati.

Questi numeri, questi fatti, parlano da soli.

Non credo serva sfruttare e manipolare foto di bambini annegati, video di gente decapitata, o infime infografiche per ottenere la compassione del mondo. La Siria e i siriani non hanno bisogno di compassione ma di una reazione, di un piano condiviso, di unità e di partecipazione a livello globale. Anche perché questo meccanismo vizioso di prendere un singolo elemento e di trasformarlo in icona di una tragedia, può avere conseguenze peggiori di quelle che si immaginano. Può, e non escludo che sia già successo, renderci passivi di fronte a tutto ciò, capaci solamente di provare qualcosa per quell’istante che l’immagine riempie i nostri occhi, ma che sparirà il momento stesso in cui avremo girato pagina.

Ma come si può dimenticare? Come si può non ammettere tanta evidenza? Come si può rinnegare tanta crudeltà? Come si può rimanere impassibili? Come si può pensare principalmente a se stessi ed essere così egoisti?

Forse non tutti sanno che molti siriani, nati e cresciuti lontano dalla Siria, hanno deciso di abbandonare le proprie vite, spesso agiate e totalmente estranee a ciò che significa vivere sotto una dittatura, per dedicarsi a un conflitto che sentono loro. E l’hanno fatto senza impugnare armi. L’hanno fatto schierandosi in prima linea, ma non con una tuta mimetica e un giubbotto antiproiettile. L’hanno fatto con le proprie qualità, l’hanno fatto con la propria volontà, l’hanno fatto perché sentivano di voler dare il proprio contributo per aiutare quella che è la terra delle loro origini.

Dottori, ingegneri, fisici, sociologi e scienziati che ricoprivano prestigiosi ruoli in Europa o in America si sono re-inventati operatori umanitari per unire le proprie forze, contribuendo e partecipando agli sforzi per tenere in vita gli abitanti di un paese che è morto da tempo. Molti lavorano dai paesi vicini, come Turchia, Libano, Iran o Iraq, altri sono addirittura rientrati in Siria mettendo a rischio la propria vita per cercare di salvarne quante più possibile.

C’è anche chi si è unito al corpo dei “Caschi Bianchi” (White Elmets) un nutrito gruppo di volontari che intervengono nell’istante successivo a un bombardamento per tirare fuori dalle macerie i sopravvissuti.

Caschi Bianchi in azione

Caschi Bianchi in azione

Questi sono i veri foreing fighters di cui vorrei sentir parlare sui giornali. Queste sono le storie che bisognerebbe raccontare. Questi sono eroi che meritano di essere ammirati dai giovani e apprezzati per i valori, oltre al coraggio che li contraddistingue.

La Siria e la sua crisi non devono essere stereotipate o ridotte al terrore che l’ISIS può incutere. Questo conflitto, come molti altri, è molto di più.

Questa guerra e le sue conseguenze non influenzano solo la Siria e i Siriani ma tutti noi. E credo che ce ne siamo ampiamente accorti.

Ma invece di aspettare, invece di avere paura, invece di vivere senza un’idea di ciò che vogliamo possa essere questo mondo, il nostro mondo, dobbiamo reagire. Reagire per fare in modo che il mondo possa togliersi il paraocchi dell’avidità e dell’ipocrisia per guardare un po’ più in là e riscoprire il vero significato di empatia e solidarietà… o semplicemente per riscoprirsi come essere umano.

Forse non tutti sanno che è semplicemente questo di cui si tratta.

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