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apr 10

L’impegno di giustizia dei cattolici e la forza specifica della preghiera

Francesco d’Agostino - da www.avvenire.it sabato 10 aprile 2021

Periodicamente si riaccende - e tende a non spegnersi - un intricato dibattito sul ruolo che avrebbero oggi i cattolici in politica: dibattito faticoso, necessario, ma di cui non è facile percepire le coordinate essenziali.

Da una parte, infatti, il riferimento al magistero diviene sempre più corposo, sia in chiave adesiva, che in chiave critica: gli interventi di papa Francesco danno ossigeno a coloro che amano respirare un’atmosfera che da noi si sarebbe definita ‘popolare’ e per contro vengono stigmatizzati da coloro che percepiscono gli interventi del Pontefice come pastoralmente affascinanti, ma deboli come incitamento alla prassi.

Da altre parti, però, aumenta l’insistenza perché i cattolici si liberino da chiusure confessionali e arrivino a sfondare il recinto della loro stessa confessione di fede: sarebbe giunta l’ora - così molti sostengono - di riconoscere che lo spirito religioso e l’apertura alla trascendenza dovrebbero essere riconosciuti come un grande, anzi come il massimo motore dello sviluppo storico dell’umanità, una volta purificata dai settarismi etnici e ideologici, che tutti ormai riconoscono come assolutamente incompatibili con le ventate dell’umana globalizzazione. Fortemente incrinate, o almeno vistosamente marginalizzate, appaiono pertanto quelle posizioni laicistiche, paleo e neoilluministiche, che vedono in qualunque forma di spiritualità che assuma caratteri istituzionali e aggregativi l’emergere di pulsioni narcisistiche e quindi inevitabilmente aggressive, orientate al dominio sull’altro, anziché alla solidarietà e alla fraternità.

Ritengo che proprio in questo ‘tramonto’ del freddo razionalismo laicista vada con ogni probabilità visto il più autentico contrassegno del mondo cosiddetto postmoderno. È un mondo che appare orientato a facilitare in modo impressionante la quotidianità e perciò assume la mera funzionalità a proprio idolo; è un mondo che, per realizzare i propri obiettivi, cerca sistematicamente di espellere dal proprio orizzonte ciò che gli appare come funzionalmente difettoso, smarrendo del tutto la percezione di categorie antropologiche fondamentali, come la fragilità, la vulnerabilità, la debolezza, il bisogno di cooperazione, la solidarietà. Lo spirito religioso, accettando invece queste categorie come antropologicamente costitutive, nelle diverse forme cui sopra si è fatto cenno, ha ormai di fatto vinto la sua battaglia contro l’illuminismo, affidando ai leader delle maggiori confessioni il compito di ricordare sistematicamente al genere umano che l’identità dell’uno trova sempre il suo fondamento e la sua conferma nell’identità dell’altro.

Si consideri la Fratelli tutti di papa Francesco: è indubbio che si tratti di una Enciclica ’sociale’, sia perché la stessa Enciclica in tal modo si autodefinisce, sia perché i continui riferimenti che essa contiene ai nodi del sociale contemporaneo ci aiutano a capire che non è possibile vivere nel mondo di oggi, senza tenere presenti i complicati e a volte ambigui intrecci di interessi che lo caratterizzano. Nello stesso tempo però in Fratelli tutti si ribadisce continuamente come ogni azione ’sociale’ abbia una dimensione interpersonale e che la categoria della socialità si attiva solo partendo dal basso, cioè dalle persone e dal calore che da esse promana, e non dall’alto, cioè dalle istituzioni e dalla loro costitutiva ‘freddezza’.

La situazione attuale è quindi caratterizzata da una significativa ambiguità, che non dobbiamo illuderci di poter sciogliere agevolmente. Operando nel contesto politico, i cattolici vogliono in primo luogo giustizia. Giustizia in ogni contesto, giustizia per tutti. Il che comporta il no a ogni discriminazione che alteri l’ordine del presente e che fin troppo spesso ha deformato il passato in modo indegno. Ma nel contempo essi percepiscono che l’appello alla giustizia ha bisogno continuamente di alimentarsi a una fonte che essi sentono specificamente come loro propria e che hanno avuto il mandato di custodire. Senza la preghiera questa fonte non può che inaridirsi; ma a sua volta la preghiera veicola una dura legge, che pochi arrivano a percepire correttamente: quella di una fedeltà libera, appassionata e senza condizioni a Dio, che è Padre di tutti, ma parla sempre, individualmente, al cuore di ciascuno. Non è possibile, a mio avviso, sciogliere questo paradosso. Ma quando papa Francesco, concludendo le sue allocuzioni, brevi o lunghe, pastorali o magisteriali, esorta i suoi ascoltatori a pregare per lui, penso che proprio a questo egli pensi: impegniamoci nel sociale, non nell’illusione che bastino le nostre forze a sorreggerci, ma nella convinzione che lo Spirito soffia dove vuole e che ci compenetra al di là di ogni nostra possibile strategia.

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